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3 anni fail
Un’ormai vetusta facezia vuole che Gaio Giulio Cesare un giorno si sentisse apostrofare come segue: “Cesare! Il popolo chiede sesterzi!” Al che il grande condottiero avrebbe risposto: “Digli che vado dritto!” Questa breve freddura racchiude appieno il senso dell’accordo tra M5S e Pd per un Governo che piacerà alla gente che piace, ma sarà inviso alla stragrande maggioranza degli elettori, non foss’altro perché i dem saranno al potere, per la quarta volta negli ultimi sei (o otto) anni, senza mai essere stati legittimati dalle urne.
I cittadini, infatti, avevano espresso ripetutamente la propria volontà in tutte le tornate elettorali successive alle Politiche del 4 marzo 2018. Regionali, Amministrative, Europee hanno sempre indicato una sola strada. E, per un po’, quella strada era sembrata tornare l’unica percorribile.
Nella notte, infatti, i grillini avevano dato fuoco alle polveri. «Nessun nuovo incontro col Pd senza il sì a Conte» aveva tuonato il capo politico Luigi Di Maio.
Cui avevano prontamente – e altrettanto duramente – risposto dal Nazareno: «L’accordo di Governo rischia di saltare per le ambizioni personali di Luigi Di Maio che vuole fare il Ministro dell’Interno e il Vicepremier».
E così lo «spettacolo indecoroso» (copyright Carlo Calenda) era proseguito in un crescendo di tensione sfociato nell’annullamento del meeting mattutino tra le delegazioni delle due forze in trattativa; e nel rinvio della Direzione dei dem, da tenersi a un soffio dalla salita al Quirinale.
Sembrava l’assassinio di un Governo mai nato, e invece, improvvisa, è arrivata la nota di Palazzo Chigi che smentiva che Giggino avesse mai chiesto per sé il Viminale. Tanto è bastato per sbloccare l’impasse e assicurare al Premier Giuseppe Conte il sospirato bis.
Cosa che, peraltro, dovrebbe far riflettere: l’avvocato d’Italia non doveva essere super partes nell’esecutivo giallo-verde? Un suo secondo mandato – ma col Partito Democratico – non farebbe quindi ipso facto strame della sua pretesa imparzialità?
Comunque sia, resta ancora uno scoglio da superare: la votazione su Rousseau, la piattaforma online su cui i pentastellati consultano occasionalmente i propri aficionados in una parodia di ciò che chiamano “democrazia diretta”. Di fatto, il MoVimento è in subbuglio perché gli umori degli iscritti sono chiarissimi e, salvo manipolazioni, non depongono affatto a favore dell’alleanza con quello che negli ultimi anni hanno amabilmente soprannominato “partito delle banche” o “partito di Bibbiano” – quando non rivolgevano direttamente ai suoi esponenti epiteti da bettola.
Pare che qualcuno, anche tra i big Cinque Stelle, abbia perfino avanzato l’ipotesi di bypassare il voto sul Governo rosso-giallo, magari col pretesto dei tempi troppo ristretti. Gran brutta cosa la democrazia, quando la base non si esprime come vuole chi detiene il comando.
Ma anche i vertici dovrebbero procedere con cautela. Perché c’è una postilla che la barzelletta su Cesare non menziona: a forza di tirare dritto, prima o poi si va inevitabilmente a sbattere.
Foto di Giuseppe Conte dal sito del Governo
Mirko Ciminiello è nato a Rimini nel 1985 e vive a Roma, dove si è laureato in Chimica (triennale) e Chimica Organica e Biomolecolare (specialistica) alla Sapienza, in Scienze della Comunicazione (triennale) e Scienze Cognitive della Comunicazione e dell'Azione (magistrale) a Roma Tre. Giornalista, attore per hobby, collabora con l'associazione Pro Vita e Famiglia ed è autore di 9 libri, di cui due in inglese.
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