È certamente troppo presto per farsi un’idea (che non dipenda da convinzioni pregresse) sul caso politico di queste ore, l’inchiesta sui presunti rapporti finanziari tra la Lega e la Russia. Un’inchiesta che Matteo Salvini ha definito ridicola, aggiungendo di essere pronto ad adire le vie legali. «Mai preso un rublo, un euro, un dollaro o un litro di vodka dalla Russia» ha dichiarato il Ministro dell’Interno.
Questo, in effetti, non ha potuto affermarlo neppure BuzzFeed, il sito americano che ha diffuso la registrazione dell’incontro tra tre russi e altrettanti italiani, di cui l’unico identificato è Gianluca Savoini, presidente dell’associazione Lombardia-Russia ed ex collaboratore di Salvini. Com’è ormai noto, il sestetto pare aver discusso la possibilità di finanziare il Carroccio attraverso l’importazione di petrolio russo, con un meccanismo che avrebbe coinvolto anche l’Eni.
L’impressione è che fossero più minacciosi i “Russi malvagi” dell’ultima stagione di Stranger Things. In ogni caso, se si trattasse di chiacchiere da bar – anzi, da hotel di lusso – o anche di “semplici” millanterie, e a prescindere dall’esito fattualmente negativo della fantomatica trattativa, spetterà alla magistratura stabilirlo. Quel che è già certo, invece, è che quest’inchiesta ha ridato un po’ di ossigeno ai moderni savonarola nostrani, i cui strali moralizzatori erano rimasti vagamente offuscati dai recenti scandali che avevano colpito i loro beniamini.
I fanatici delle manette, in particolare, dovevano ancora riprendersi dalla notizia del coinvolgimento di affermate toghe in oscure trame volte a condizionare le nomine di importanti Procure. E gli antropologicamente superiori non se la passavano certo meglio, da quando a Bibbiano è stato scoperchiato il vaso di Pandora degli affidi dei minori.
Due vicende vergognose che, tuttavia, sono sparite relativamente in fretta dagli orizzonti mediatici, mentre c’è da scommettere che questa sorta di Russiagate alla cassoeula imperverserà a lungo su giornali e tv. Anche se dovesse rivelarsi altrettanto inconsistente del “vero” Russiagate, quello statunitense.
A tal proposito, bisogna ricordare che era stato proprio BuzzFeed a pubblicare il falso dossier redatto dall’ex spia dell’MI6 Christopher Steele che accusava dei membri dello staff di Donald Trump di collusioni con il Governo russo, durante la campagna elettorale per le presidenziali U.S.A. del 2016. Non esattamente, cioè, la più attendibile delle fonti.
E, tuttavia, è curioso come coloro che più di tutti stanno cavalcando quest’indagine siano gli eredi di quel PCI che ricevette per anni finanziamenti illeciti dall’Unione Sovietica. Qualcuno, probabilmente, ricorderà ancora il dossier Mitrokhin – Forattini di sicuro.
Ma, evidentemente, qualunque cosa va bene per allontanare da sé certa attenzione, nonostante la minaccia di querele verso chi osi accostare il Pd agli orrori di Bibbiano: un accostamento che però, a differenza del caso Lega-Russia, sembra avere basi piuttosto solide, dal momento che il sindaco piddino della cittadina emiliana è stato posto ai domiciliari e sospeso dal Prefetto.
Ipocrisia a parte, comunque, è interessante notare il fil rouge mentale che unisce i dem nostrani a quelli statunitensi: tutti disposti, almeno a parole, a dar credito a interferenze esterne per riuscire a spiegarsi l’emorragia di voti in favore di personaggi – Trump negli U.S.A. e Salvini in Italia – costantemente massacrati dai media. Perché è più facile raccontarsi la favola delle ingerenze che dover ammettere che si è creata una frattura profondissima con gli elettori e con la realtà che questi si trovano a vivere giorno dopo giorno; che le politiche perseguite sulla base della pura ideologia erano percepite dal popolo come sbagliate e lontane; e che, nel caso americano, Obama è stato semplicemente il peggior presidente della storia – e quindi perché i votanti avrebbero dovuto scegliere una candidata che si proponeva di raccoglierne il testimone?
Di fatto, il Partito Democratico – in particolare, al momento, quello italiano – avrebbe semplicemente bisogno di un bagno di umiltà e di una sana autocritica. Una vera autocritica, ben lontana cioè, per fare un esempio, dalle recenti esternazioni di Matteo Renzi, secondo cui, a stringere, per evitare tutti i problemi attuali sarebbe stato sufficiente mettere la fiducia sullo ius soli. Sufficiente, sì, ma per trasformare un’inevitabile sconfitta in una débâcle, una Caporetto in una Waterloo. E torna in mente una battuta da social, secondo cui i migranti vengono qui per fare i lavori che gli Italiani non vogliono più fare: tipo votare Pd.
La realtà è che, se questo fosse un film (di 007), si potrebbe intitolare “Dalla Russia senza onore”. E che, probabilmente, fin d’ora questa torbida vicenda dice molto di più sugli accusatori politico-mediatici che sugli accusati. Per esempio, che è sempre meno opportuno fare la parte del censore di costumi: perché, parafrasando Pietro Nenni, c’è sempre un puro più puro che ti epura.
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