La battuta più fulminante è venuta, come spesso accade, dai social media, lesti a congetturare ironicamente che il vero rischio per l’immagine del calcio italiano fosse far giocare Juventus-Inter in contemporanea col Clásico Real Madrid-Barcellona.
Detto che sì, il paragone sarebbe stato impietoso, resta il paradosso di una Lega Calcio che, sull’emergenza COVID-19, è arrivata a smentire se stessa (e anche, cosa ben più grave, il Governo) nel tentativo di evitare figuracce: e che, proprio per questa sorta di ossessione, ha finito per fare la più barbina delle figure.
Certo, a loro parziale discolpa i vertici del pallone nostrano si sono trovati a gestire una situazione eccezionale: a maggior ragione, però, avrebbero potuto – se non dovuto – seguire le disposizioni dell’esecutivo, a cominciare dalla raccomandazione di disputare le partite a porte chiuse, che poi era anche il suggerimento della Fifa, il massimo organo del football mondiale.
Così, in effetti, era stato stabilito, almeno in un primo momento. Poi, forse in virtù della fifa con la “f” minuscola, è piovuta improvvisamente la clamorosa retromarcia che ha portato al rinvio di sei gare (di cui una dopo un’ulteriore dilazione), con l’aggravante che l’annuncio è arrivato sabato mattina: quando, per dire, mancava appena una manciata di ore all’inizio di Udinese-Fiorentina.
Di qui le dispute e le accuse di aver favorito questa o quella squadra, soprattutto in riferimento al Derby d’Italia. Con l’A.d. meneghino Beppe Marotta a pungere sull’addio alla regolarità del campionato, e il presidente della Lega Serie A Paolo Dal Pino a replicare stizzito che la Beneamata aveva rifiutato lo svolgimento del match lunedì 2 marzo a porte aperte.
Ipotesi assurda perché, come puntualizzato dallo stesso Marotta, tra l’altro avrebbe presupposto «la scomparsa dell’allarme coronavirus nel giro di sole 24 ore, dal non si gioca domenica al via libera ai tifosi il lunedì»; e perché «avrebbe comportato lo slittamento a giovedì di Juve-Milan di Coppa Italia, nello stesso giorno di Napoli-Inter, con le possibili rimostranze da parte della Rai che del torneo detiene i diritti tv». Che poi i nerazzurri avrebbero certamente preferito giocare in un Allianz Stadium deserto è un altro paio di maniche, ma questo non inficia la bontà del ragionamento.
Tuttavia, la misura della farsa la dà il fatto che non sono solo i supporter a polemizzare, ma gli stessi addetti ai lavori. Il più duro, per esempio, è stato l’allenatore del Lecce Fabio Liverani: «La Lega deve essere garante di 20 squadre, non di otto o dieci. O giocavano tutti o nessuno. Se non c’era spazio allora dovevano attenersi alla decisione del Governo che aveva scelto le gare da giocare a porte chiuse».
Come se poi il senso del ridicolo non fosse già stato ampiamente superato, la Lega Calcio, che aveva annunciato che le partite non disputate sarebbero state recuperate il 13 maggio, ora sta pensando di farle giocare il prossimo weekend, causando il differimento dell’intero campionato di una settimana. Un piano che non risolverebbe né il problema di un calendario semplicemente troppo intasato (soprattutto per le formazioni impegnate nelle coppe europee e/o in Coppa Italia), né la necessità di trovare un’altra collocazione alla finale della Coppa Italia: che dovrebbe a sua volta essere spostata al 20 maggio, data in cui l’Olimpico (sede designata dell’ultimo atto della competizione) dovrà già essere da almeno due giorni a disposizione della UEFA per i preparativi in vista della partita inaugurale dell’Europeo (itinerante) 2020.
Il sospetto, insomma, è che in questo caso si abbia a che fare anche con un secondo virus, quello dell’incapacità. E, proprio come il vero patogeno che non risparmia personalità quali lo scrittore Luis Sepúlveda, anche questo è estremamente “democratico”.
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