Buchi neri “tascabili”, l’idea italiana per studiare la radiazione di Hawking
Con un foglio di grafene dallo spessore di un atomo si potrebbero simulare le condizioni dell’orizzonte degli eventi (il “confine” di un black hole) in assoluta sicurezza. E intanto lo spazio non smette mai di stupire
I buchi neri sono certamente tra gli oggetti più
misteriosi ed elusivi dell’intero universo. Giganti voraci, insaziabili
e di norma lontanissimi, possiedono un’attrazione gravitazionale tanto
elevata che niente, neppure la luce, può sfuggire alle loro fauci. Per
questo motivo, è estremamente difficile individuarli – e quindi studiarli. Ma
alcuni ricercatori italiani hanno avuto un’idea che potrebbe ovviare a
tutti questi problemi.
La radiazione di Hawking
Il team in questione appartiene
per lo più al Centro Europeo di studi teorici in fisica nucleare ed Aree
Collegate (ECT*) di Trento. E i suoi membri pensano di
poter produrre in laboratorio l’analogo di un black hole“tascabile”
che permetterebbe di osservare fenomeni reali in tutta sicurezza.
In particolare, gli studiosi vorrebbero concentrarsi sulla radiazione di Hawking, un tipo di radiazione termica teorizzata dal grande fisico Stephen Hawking, scomparso nel marzo 2018. Lo scienziato britannico ha infatti dimostrato che, a causa di particolari effetti quantistici, alcune particelle possono sfuggire all’enorme attrazione del colosso oscuro.
Questo fenomeno si verifica nei pressi dell’orizzonte degli eventi, il confine oltre il quale nulla può scampare al pantagruelico appetito del mostro spaziale. Esso porta, in tempi lunghissimi, all’evaporazione dei buchi neri, ed è associato a delle proprietà termiche inversamente proporzionali alla massa del black hole. Vale a dire che più quest’ultimo è grande, minore è la temperatura e viceversa.
In linea teorica, dunque, sarebbe più facile misurare la radiazione
di Hawking collegata a un buco nero molto piccolo. Il problema è che, anche
questo caso, la temperatura sarebbe troppo bassa – ovvero il black
hole sarebbe troppo freddo.
Per rendere l’idea, si consideri anzitutto che l’intero
universo è permeato da una sorta di “rumore di fondo”, considerato l’eco del
Big Bang. È la cosiddetta radiazione cosmica di fondo, associata a
una temperatura di 2,7 K (-270,4 °C), ovvero 2,7 gradi al di sopra dello zero
assoluto.
Ebbene, come ha illustrato uno dei ricercatori trentini, Daniele Binosi, i più piccoli buchi neri mai scoperti hanno una temperatura «inosservabile con gli strumenti» attuali. Una temperatura «nove ordini di grandezza» inferiore alla radiazione cosmica di fondo – e si sta parlando di quelli che dovrebbero essere i corpi più caldi.
Buchi neri da laboratorio
Di qui il progetto del gruppo della Fondazione Bruno Kessler,
che ha sviluppato un modello centrato su un materiale molto particolare, il grafene.
Si tratta di uno strato di atomi di carbonio disposti in forma
esagonale, come in un pallone da calcio.
Gli scienziati hanno
calcolato che sarebbe possibile produrre un buco nero da laboratoriomodificando la struttura di questo materiale. Per la precisione, si
dovrebbero inserire alcuni pentagoni e alcuni ettagoni, con il vincolo che questi
ultimi superino di sei unità il numero dei pentagoni.
Queste asimmetrie modificherebbero il modo in cui gli
elettroni si muovono all’interno del reticolato. Gli effetti sarebbero
equivalenti a quelli che avvengono realmente presso l’orizzonte degli eventidi un black hole – ma sarebbero misurabili. Basterebbe
infatti un foglio di grafene dello spessore di un atomo per simulare un
buco nero con una radiazione di 16 K (-257 °C).
Buchi neri supermassicci
Nel frattempo, la ricerca avanza e, grazie anche ai
progressi della tecnologia, lo spazio ci rivela a poco a poco i suoi segreti.
Così, un team di astronomi della Johns Hopkins University di Baltimora ha individuato una popolazione di 28
buchi neri supermassicci molto particolari.
Gli scienziati li
chiamanoheavily obscured black holes, buchi neri
fortemente oscurati, perché sono avvolti da una “coperta” di polveri e gas.
Proprio per questa ragione sono in grado di “camuffarsi”, tanto che alcuni di
essi erano stati scambiati per galassie distanti. E questo nonostante un supermassive
black hole abbia di norma una massa compresa tra centinaia di migliaia e
miliardi di volte quella del Sole.
Proprio in questi giorni, poi, una ricerca condotta dalla Cardiff
Universityha rilevato
il buco nero supermassiccio con la massa più bassa mai registrata, circa
50.000 volte quella solare. L’oggetto si trova all’interno della galassia nana NGC
404, anche nota con il suggestivo nome di Fantasma di Mirach.
Il motivo di questa denominazione risiede nel fatto che,
osservandola dalla Terra, NGC 404 appare molto vicina alla luminosissima Mirach.
La seconda stella più brillante della costellazione di Andromeda, che
conferisce alla galassia nana un aspetto diafano e spettrale.
Lo spazio non cessa mai di stupire
Attraverso una tecnica innovativa, gli astronomi hanno
potuto calcolare in modo molto più accurato le dimensioni del supermassive
black hole al centro di NGC 404. Il che è significativo anche perché sulla formazione
dei buchi neri supermassicci vi sono solo ipotesi. Ora però «possiamo
davvero iniziare ad esplorare sia le proprietà che le origini di questi oggetti
misteriosi» ha
spiegato Tim Davis, dell’Università di Cardiff.
I black holes, insomma, non cessano mai di stupire. E,
aprendoci delle spettacolari finestre sul passato dell’universo, ci permettono
di capire qualcosa in più anche su noi stessi, sulle nostre origini e,
forse, sul nostro futuro.
Mirko Ciminiello è nato a Rimini nel 1985 e vive a Roma, dove si è laureato in Chimica (triennale) e Chimica Organica e Biomolecolare (specialistica) alla Sapienza, in Scienze della Comunicazione (triennale) e Scienze Cognitive della Comunicazione e dell'Azione (magistrale) a Roma Tre.
Giornalista, attore per hobby, collabora con l'associazione Pro Vita e Famiglia ed è autore di 9 libri, di cui due in inglese.
Pingback: Buchi neri, e se fosse possibile creare degli analoghi in laboratorio? | Organon
Pingback: Astronomia, da una foto rivoluzionaria un indizio sulle nostre origini