Ha assunto ormai contorni nazionali il caso della creazione
della zona rossa a Bergamo in piena emergenza coronavirus. Un po’
perché c’è chi lo sta cavalcando a livello mediatico, molto per la
decisione della Procura orobica di portarlo fino a Palazzo Chigi. E non
solo: questa vicenda può anche insegnare qualcosa sulla Weltanschauung degli
Italiani.
Zona rossa a Bergamo, Conte in Procura
Probabilmente il bi-Premier Giuseppe Conte sperava in un fine settimana diverso. Invece, incassato il diniego dell’opposizione di centrodestra riguardo alla partecipazione alla giornata inaugurale degli Stati Generali, è arrivata un’altra convocazione. Di cui il fu Avvocato del popolo, stavolta, era il destinatario.
I mittenti erano i Pm di Bergamo che indagano
sulla mancata istituzione della zona rossa a Bergamo, o meglio nelle città di Alzano
e Nembro. Il Signor Frattanto sarà sentito come persona informata
sui fatti, al pari del Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese e del
titolare della Salute Roberto Speranza. I magistrati, poi, hanno già
ascoltato Attilio Fontana, Governatore della Lombardia, Giulio
Gallera, assessore lombardo alla Sanità, e Silvio
Brusaferro, presidente dell’ISS e del CTS.
La mancata creazione della zona rossa a Bergamo
La vicenda ha avuto inizio a fine febbraio, quando nei due Comuni bergamaschi iniziò a moltiplicarsi il numero dei contagiati da Covid-19. Il Pirellone lanciò l’allerta, seguito dal Comitato Tecnico-Scientifico, il cui numero uno Brusaferro, il 5 marzo scorso, sollecitava l’istituzione della zona rossa nelle due cittadine. L’esecutivo, però, prese tempo, nel dubbio che la misura andasse estesa all’intera Regione, come sarebbe poi stato decretato l’8 marzo.
Com’è noto, il ritardo è stato fatale per una provincia le
cui condizioni erano già drammatiche – e da qui è nato lo scontro
istituzionale. Con Giuseppi che ha sempre affermato che la Lombardia
potesse creare zone rosse in piena autonomia, e Fontana a replicare che l’onere
spettasse a Roma. Idea che sembra condivisa
dalla Procuratrice facente funzioni di Bergamo, Maria Cristina Rota,
secondo cui «da quel che ci risulta è una decisione del Governo».
Il Presidente del Consiglio si è comunque detto sereno,
benché vari organi di informazione ne abbiano sottolineato
la preoccupazione per un possibile avviso di garanzia. Ha anche difeso quelle
che sono state «decisioni difficili», per le quali «non avevamo il manuale».
Quanto a questo, ci sentiamo di concordare – perlomeno nel merito.
La libido del capro espiatorio
È indubbio che le istituzioni si siano trovate a
fronteggiare una situazione emergenziale e fuori dall’ordinario, che
avrebbe creato difficoltà anche a dei veri esperti. Per questo il rimpallo
delle responsabilità ha un che di stucchevole, anche se umanamente può
essere comprensibile. Così com’è comprensibile che i parenti delle vittime
auspichino che si faccia luce sulle circostanze che hanno portato al decesso
dei propri cari. E, se qualcuno ha sbagliato, è ovviamente giusto che paghi.
In qualche modo, comunque, questo atteggiamento è
emblematico di una forma mentis tipica dell’italiano medio,che
si potrebbe definire “libido del capro espiatorio”. Sarebbe la tendenza
a voler trovare a ogni costo un colpevole per gli eventi negativi – anche
eventi molto meno tragici di quelli qui esaminati. Verosimilmente, una diretta
conseguenza del fatto che siamo 60 milioni di giudici e allenatori
sportivi – oltre che della pervasività dei mezzi di comunicazione di massa.
Di nuovo, è un atteggiamento umanamente comprensibile, che
però può scontrarsi con la realtà, perché non sempre quanto ci accade è
colpa di qualcun altro. A parte per i manettari dattilografi, usi a
crearsi preventivamente un teorema giudiziario che poi perseguono oltre
i confini del ridicolo.
Eppure, sostenevano gli antichi: “Veritatem
laborare nimis saepe aiunt, extingui numquam”. Si dice che la verità
soffra spesso, ma non muoia mai. Malgrado il Travaglio.
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