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Stati Generali, così la politica si divide anche sul nulla (o quasi)

I contenuti ancora non ci sono, ma i partiti litigano comunque sull’evento voluto dal Premier Conte. Che si spera non si trasformerà nella solita, futile, autoreferenziale passerella

Non sono ancora partiti, eppure sono giorni che gli Stati Generali dell’Economia agitano il dibattito. È bastato infatti l’annuncio del bi-Premier Giuseppe Conte perché scattassero i distinguo, le minimizzazioni, i malumori di chi pare si sia sentito scavalcato. Discussioni serrate, perfino aspre a volte. Discussioni che però – e sarebbe l’aspetto comico se non fossimo immersi in una crisi tragica – hanno per oggetto il nulla, o quasi.

La vigilia degli Stati Generali

Alla vigilia degli Stati Generali, l’evento che Giuseppi ha concepito come prodromo della fase 3, la grande novità è che dureranno più del previsto. Anziché limitarsi al fine settimana, infatti, andranno avanti fino al prossimo 21 giugno. E il fatto che questa sia la breaking news dà già la misura della futilità della tenzone pubblica.

I battibecchi infatti non vertono sulle misure necessarie per far ripartire l’economia dopo la lunga emergenza coronavirus – e come potrebbero, ante litteram? Con la sfera di cristallo?

Così ci si accontenta – soprattutto il Partito Democratico – di fare gli offesi per non essere stati preventivamente consultati. Salvo poi affrettarsi a collaborare «in nome della collegialità», che tradotto dal politichese significa non voler lasciare l’esclusiva dell’iniziativa al Presidente del Consiglio. Tutto questo mentre si stigmatizza il metodo ricordando «che è il Parlamento il luogo dove si discutono ed approvano le leggi». Come ha fatto il capogruppo dem al Senato Andrea Marcucci.

Fin troppo ovvio, naturalmente. Però non appare molto saggio criticare un progetto governativo quando non è neppure allo stato embrionale. Perfino se lo facesse l’opposizione sarebbe probabilmente poco elegante, figuriamoci quando lo fa la maggioranza.

Il piano Colao e l’insofferenza bipartisan

Ha più senso, per dire, l’insofferenza (bipartisan) mostrata nei confronti del cosiddetto piano Colao. Il documento stilato dalla task force che doveva occuparsi di fase 3 e ripresa economica, di cui Pd e M5S contestano «l’impostazione liberista». Anche perché suggerisce di fare a pezzi un provvedimento bandiera dei pentastellati come il Decreto Dignità.

Viceversa, al centrodestra non vanno giù la proposta di una “tassa sul contante” e il capitolo dedicato «all’emersione del risparmio privato nelle cassette di sicurezza». Che, tradotto dal burocratese, sarebbe il prelievo forzoso dai conti correnti dei cittadini.

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Come farneticazione, non è nemmeno originale, visto che l’aveva già attuata nel 1992 l’allora Capo del Governo Giuliano Amato. E dubitiamo s’intendesse questo quando si auspicava che il Premier fosse più Amato.

La storia degli Stati Generali

Gli Stati Generali erano un’assemblea del Regno di Francia pre-rivoluzionario, che si riuniva in caso di minaccia incombente e poteva limitare le prerogative monarchiche. Vi erano rappresentati i tre ceti sociali allora esistenti, Clero, Aristocrazia e Terzo Stato (la popolazione urbana e rurale).

Questo spiega l’analogia con il progetto del Signor Frattanto, che ha convocato nella sala degli Stucchi di Villa Pamphilj i delegati di varie categorie. Venerdì prossimo, nella giornata di apertura, sarebbe dovuta intervenire l’opposizione, che però ha declinato l’invito.

Poi sarà la volta dei vertici internazionali, rigorosamente in videoconferenza. Tra gli altri, dovrebbero partecipare Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue, David Sassoli, presidente dell’Europarlamento, e Kristalina Georgieva, presidente del Fmi.

Da lunedì sarà invece il turno di imprenditori, parti sociali e delle mitologiche «menti brillanti», che pare includeranno le archistar Renzo Piano, Massimiliano Fuksas e Stefano Boeri. Incontri che dovrebbero protrarsi per più giornate.

Storicamente, l’ultimo Sovrano d’Oltralpe a convocare gli Stati Generali fu Luigi XVI nel 1789, e tutti sappiamo com’è andata a finire. Perciò, non foss’altro per scaramanzia, se non per ragioni di opportunità, l’ex Avvocato del Popolo avrebbe anche potuto evitare il parallelismo.

Ma la denominazione estemporanea e pomposa è certamente un peccato veniale. Ben più grave sarebbe trasformare l’appuntamento nella solita, vuota passerella.

«Non possiamo sbagliare» ha infatti ammonito nei giorni scorsi il segretario dem Nicola Zingaretti. Se c’è infatti qualcosa che nessuno può permettersi è un esecutivo che perda la testa. In senso figurato, ça va sans dire.