Stato di emergenza e immigrazione stanno rapidamente diventando due vere spine nel fianco per il bi-Premier Giuseppe Conte. Il primo a livello squisitamente politico, la seconda dal punto di vista delle ripercussioni sociali. E forse non è un caso che le due questioni abbiano un massimo comun denominatore: entrambe, infatti, affondano le proprie radici nella crisi da Covid-19.
Conte tra stato di emergenza e immigrazione
Tra stato di emergenza e immigrazione, l’ex Avvocato del popolo ha per le mani un paio di bombe pronte a esplodere. E questo senza considerare le beghe comunitarie e la controversia con la famiglia Benetton. Dopotutto, “a ciascun giorno basta la sua pena”, insegna il Vangelo.
La prima grana riguarda, appunto, l’ipotesi di prolungare lo stato di emergenza, in scadenza il prossimo 31 luglio. Si era parlato di una proroga fino a fine anno, ora si ragiona sul 31 ottobre. Di certo, l’esecutivo è intenzionato a estendere le misure straordinarie anti-coronavirus, onde non farsi trovare impreparato in caso di una seconda ondata. Uno spettro che viene agitato sempre più di frequente, soprattutto da quegli esperti che non sono stati in grado di prevedere nemmeno la prima. Ma tant’è.
Sul piano politico, vi è da un lato la richiesta (proveniente anche da parte della maggioranza) di un passaggio parlamentare, visto che al momento non sussiste il requisito dell’urgenza. Naturalmente, non è in discussione l’esigenza di fronteggiare l’emergenza con mezzi «adeguati alla gravità della situazione», come ha scritto il leader di FI Silvio Berlusconi. Il quale però ha anche lanciato una frecciata a Giuseppi e al suo eccessivo ricorso allo strumento del Dpcm. Senza con ciò guadagnare «in velocità né in efficienza delle decisioni».
Poi c’è la questione dei pieni poteri, che agita il resto dell’opposizione. La presidente di FdI Giorgia Meloni, per esempio, è convinta che sia solo un escamotage per blindare le poltrone di Ministri e onorevoli.
Va da sé che la misura si giudica a seconda di chi la prende. Se, per dire, l’avesse annunciata Viktor Orbán – che i pieni poteri li ha restituiti da tempo -, già sarebbe scattata la reductio ad ducem. Evidentemente, però, gli intelliggenti con-due-gi scorgono semi di regime a targhe alterne. Prosit.
Le rivolte in Calabria
È inoltre tornato a riaffacciarsi prepotentemente sulla scena l’affaire immigrazione. Sempre legato all’emergenza Covid-19, dopo che in Calabria sono sbarcati 60 migranti, di cui 28 positivi al virus. La decisione della Prefettura di Cosenza di trasferirne 13 nella città di Amantea ha scatenato la furia dei residenti. I quali hanno bloccato per ore la Statale 18, anche sdraiandosi a terra, in segno di contestazione. «Una situazione esplosiva» ha commentato la Governatrice Jole Santelli.
La Presidente della Regione ha evidenziato il controsenso per cui si vietano «i voli da Paesi a rischio» per poi «permettere gli ingressi a persone già malate». In effetti, l’Italia ha chiuso i confini ai viaggiatori provenienti da 13 Nazioni ancora alle prese con la pandemia. Sulla scia della decisione (non vincolante) della Ue di non ammettere turisti da Stati quali gli U.S.A., la Russia o il Brasile.
«Non possiamo vanificare i sacrifici fatti dagli Italiani in questi mesi» aveva giustamente argomentato il Ministro della Salute Roberto Speranza. Concetto ribadito anche dalla Santelli, che però ha anche aggiunto di aspettarsi «misure immediate da Conte, già nelle prossime ore». Altrimenti, ha avvisato, «non esiterò ad agire, esercitando i miei poteri di ordinanza per emergenza sanitaria, vietando gli sbarchi in Calabria».
Stato di emergenza e immigrazione, il ruolo dei social
Come corollario, in molti – soprattutto a livello social – hanno espresso timori legati a possibili derive autoritarie dell’esecutivo rosso-giallo col pretesto del Covid-19. L’idea è che, non essendoci alcuna crisi in corso, la si creerebbe a tavolino con i clandestini malati per poter protrarre lo stato di emergenza. Dopotutto, come ha argomentato il costituzionalista Sabino Cassese, «perché venga dichiarato o prorogato uno stato di emergenza, non basta che vi sia il timore o la previsione di un evento calamitoso. Occorre che vi sia una condizione attuale di emergenza».
Ci sentiamo ragionevolmente di escludere questo scenario, e tuttavia la forma mentis che ne è alla base non andrebbe affatto sottovalutata. Perché è la spia di un disagio che (giusto o sbagliato che sia) può aggravare una crisi sociale già in atto. E che non può essere risolta semplicemente inviando l’esercito, come stabilito dalla Prefettura cosentina, pena il rischio di esacerbare ulteriormente animi già infiammati.
Prima ancora di un autunno caldo, dunque, il pericolo è avere un’estate calda – e non soltanto dal punto di vista meteorologico. Perché le amenità social possono anche essere (relativamente) innocue, ma le proteste sono un altro paio di maniche. Ed è decisamente meglio evitare che possano diventare anch’esse – è il caso di dirlo – virali.
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