Partiamo dall’inizio, da quel «non abbiamo bisogno di fenomeni» con cui il bi-Premier Giuseppe Conte stigmatizzava le critiche che Matteo Renzi aveva rivolto a mezzo stampa al progetto di taglio del cuneo fiscale: liquidato dal neo-leader di Italia Viva come un «pannicello caldo».
Sembrava “solamente” la proverbiale fava con cui stuzzicare (anziché cogliere) due piccioni – anzi, forse soprattutto l’ex vicepremier Matteo Salvini: invece era evidentemente il segno di un’insofferenza ben più profonda.
«Se uno ha bisogno di rimarcare ogni giorno uno spazio politico» si era infatti sfogato, pur senza nominare l’ex Rottamatore, il Presidente del Consiglio, «questo ci precluderà la possibilità di andare avanti». Con ciò evocando la crisi di Governo ad appena un mese dalla nascita dell’esecutivo: che, se così fosse, rischierebbe di battere tutti i record di precocità.
Nella stessa circostanza, l’Avvocato del popolo aveva anche assicurato di non stare sereno, ribaltando il dettato di lettiana memoria come preludio del duello, che una volta sarebbe stato tutto interno, tra l’ex segretario dem e lo stesso Partito Democratico. Con l’ex Guardasigilli Andrea Orlando che prima ha tuonato contro gli aut aut («Non è che se un ultimatum lo lanci dal Papeete è peggio che se lo lanci dalla Leopolda») e poi si è lasciato sfuggire che peggio Renzi «andrà nei sondaggi e più farà casino»; e l’ex Primo Ministro che ha nuovamente ribadito che «quelli del Pd hanno fatto la guerra al Matteo sbagliato».
Dal Nazareno hanno poi provato a smorzare le polemiche, con il leader Nicola Zingaretti e lo stesso Orlando che, parlando di equivoci e strumentalizzazioni, hanno spiegato che il vicesegretario dem non intendeva mettere sullo stesso piano i due luoghi, bensì i due diktat. Di fatto la toppa sembra peggiore del buco, visto che sa molto di accusatio manifesta (malgrado l’excusatio fin troppo petita).
Infine, come estremo avviso al navigante gigliato è arrivata la condanna di Tiziano Renzi e Laura Bovoli, genitori dell’ex Rottamatore, a un anno e nove mesi (con pena sospesa) per due false fatture – una da 20mila e l’altra da 140mila euro: che però secondo i due imputati riguardano «prestazioni effettivamente eseguite», sulle quali sono state anche versate le relative tasse e imposte.
La tempistica della sentenza è quantomeno singolare – un tempo si sarebbe parlato di “giustizia a orologeria” -, e potrebbe scatenare una machiavellica reazione da parte di Renzi. Certo è che farlo sentire con le spalle al muro potrebbe essere assai controproducente per il Governo rosso-giallo, per la cui esistenza è cruciale la pattuglia di scissionisti di Italia Viva. Si dice infatti che l’ex Premier sia una persona molto vendicativa: il che, parafrasando Italo Calvino, potrebbe rendere l’attuale Presidente del Consiglio, già da ora, un BisConte dimezzato.
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