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Cronaca

Entanglement quantistico, fotografato per la prima volta il fenomeno prefigurato da Einstein

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Moreau et al., 2019, "Imaging Bell-type nonlocal behavior", Science Advances 5 (7)

A volte le grandi scoperte sono figlie di intuizioni matematiche anche paradossali. È stato così per i buchi neri, la cui esistenza era stata calcolata a partire dalle equazioni della relatività generale di Albert Einstein. Ci sarebbero però voluti decenni prima di riuscire a dimostrarne l’effettiva realtà, e solo nello scorso aprile l’Event Horizon Telescope ha potuto immortalare la prima, storica immagine di un black hole, in quello che è stato definito lo scatto del secolo.

(Foto Nasa, Event Horizon Telescope)

Tre mesi dopo, la comunità scientifica è nuovamente in fermento per una fotografia. E, ancora una volta, c’è in qualche modo lo zampino di Einstein.

Un team di fisici dell’università di Glasgow ha infatti annunciato di aver catturato, per la prima volta, l’istantanea di un fenomeno quantistico che era stato prefigurato dal grande scienziato tedesco – assieme ai colleghi Boris Podolsky e Nathan Rosen. Si tratta del cosiddetto “entanglement quantistico”, uno stato della materia subatomica per cui due particelle sono collegate (il termine tecnico è “correlate”) indipendentemente dalla distanza che le separa: al punto che, se si agisce su una, si produrrà lo stesso effetto anche sull’altra (per la cronaca, entanglement significa “intreccio” o “groviglio”).

Per fare un esempio – anche se si tratta di un fenomeno che non ha analogie nel mondo fisico -, è come avere due gemelli, talmente interconnessi che, anche se lontani, un cambiamento nello stato d’animo dell’uno è in grado di influenzare l’umore dell’altro. O ancora, si può immaginare di avere due laboratori separati (il numero due ricorre spesso nel mondo subatomico, che è come una gigantesca storia a bivi), in ognuno dei quali uno scienziato riceve un paio di occhiali “correlati”, di cui sa che possono essere o da vista o da sole: nel momento in cui, poniamo, uno degli scienziati scopre che si tratta di occhiali da vista, saprà che anche quelli del suo collega sono dello stesso tipo.

Va precisato, a onor del vero, che Einstein era piuttosto scettico sull’entanglement quantistico, che aveva liquidato come «una spaventosa azione a distanza»: tanto che l’esperimento mentale con cui lui, Podolsky e Rosen avevano illustrato il fenomeno è ancora noto come “paradosso EPR” (dalle iniziali dei tre scienziati). Di fatto, all’epoca sembrava che l’entanglement quantistico comportasse la trasmissione di informazioni a una velocità superiore a quella della luce, il che avrebbe violato il principio fondamentale della relatività ristretta. Oggi che sappiamo che non è così, e che quindi il fenomeno non è incompatibile con la sua teoria, forse anche Einstein sarebbe più possibilista.

Tanto più che, come si suol dire, un’immagine vale più di mille parole. Quella che costituisce «un’elegante dimostrazione di una proprietà fondamentale della natura», per usare le parole di Paul-Antoine Moreau (primo autore dell’articolo pubblicato su Science Advances), è stata ottenuta grazie a un complesso sistema fatto di laser ultravioletti, materiali a cristalli liquidi, fotocamere super sensibili e altre amenità.

Senza entrare troppo nello specifico, il punto cruciale è che i cristalli utilizzati permettono di variare una proprietà dei fotoni che li colpiscono, la fase – il che significa, sostanzialmente, che questi fotoni vengono “ruotati”, come se iniziassero a camminare sulle mani. Nell’esperimento scozzese, il laser era in grado di emettere delle coppie di fotoni correlate, ma fisicamente separate nello spazio. Dei due fotoni, uno solo incontrava il cristallo che gli faceva cambiare fase. E tuttavia, i sensibilissimi sensori della fotocamera hanno rilevato che anche il “gemello” che non era passato attraverso il cristallo era finito “a gambe all’aria”, cosa possibile solamente in virtù dell’entanglement quantistico. Nell’immagine, questo simultaneo cambiamento di fase è evidenziato dal fatto che i due fotoni continuano a “specchiarsi”.

Si tratta di un risultato epocale, che potrebbe avere ricadute importanti sullo sviluppo delle cosiddette “tecnologie quantistiche”, come i computer quantistici (che avrebbero una potenza di calcolo immensamente superiore rispetto agli odierni computer), il quantum imaging (un sotto-settore dell’ottica che mira a ottenere immagini a una risoluzione attualmente impensabile) e perfino il teletrasporto.

Insomma, grazie a questa ricerca potremmo essere un po’ più vicini all’universo di Star Trek. Un piccolo passo per degli uomini, ma un balzo gigantesco per l’umanità, per parafrasare Neil Armstrong a pochi giorni dal cinquantesimo anniversario dello sbarco sulla Luna. La scienza, dopotutto, è materia per i sognatori. Lunga vita e prosperità.

Mirko Ciminiello è nato a Rimini nel 1985 e vive a Roma, dove si è laureato in Chimica (triennale) e Chimica Organica e Biomolecolare (specialistica) alla Sapienza, in Scienze della Comunicazione (triennale) e Scienze Cognitive della Comunicazione e dell'Azione (magistrale) a Roma Tre. Giornalista, attore per hobby, collabora con l'associazione Pro Vita e Famiglia ed è autore di 9 libri, di cui due in inglese.

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