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Politica

Attentati a Vienna, l’ipocrita cordoglio dei megafoni del politically correct

Ancora un attacco al cuore dell’Europa, uno dei killer, ucciso dalle forze speciali austriache, era un simpatizzante dell’Isis. Eppure, anche stavolta quasi nessuno dei leader mondiali parla apertamente di terrorismo islamico…

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Stop al politically correct

È di quattro morti e diciassette feriti, di cui sei gravi, il primo bilancio dei tre contemporanei attentati a Vienna di lunedì sera. Appena quattro giorni dopo i vili assalti di Nizza, un nuovo attacco ha insanguinato il cuore dell’Europa. Il Vecchio Continente, però, non è esente da responsabilità. E non solo per le folli politiche di accoglienza indiscriminata, ma anche – se non soprattutto – per un’assurda Weltanschauung che ha come unico orizzonte l’autodistruzione.

Gli attentati a Vienna

Quella che doveva essere l’ultima serata di libertà prima di un mese di lockdown si è trasformata in Austria in una notte di terrore. Un commando di almeno quattro assalitori ha infatti aperto il fuoco in almeno sei punti diversi della Capitale.

La prima sparatoria è avvenuta nei pressi della sinagoga (che comunque era chiusa), anche se gli inquirenti non indagano solamente sul movente antisemita. I terroristi, infatti, «hanno iniziato a sparare a caso nei locali vicini», come ha dichiarato il sindaco viennese Michael Ludwig. Una dinamica inquietantemente simile a quella della strage del Bataclan, avvenuta a Parigi il 13 novembre di un quinquennio fa.

Uno dei primi video virali degli attentati a Vienna

È stato «un attacco terroristico disgustoso» ha tuonato il Cancelliere austriaco Sebastian Kurz, rivolgendosi alla Nazione «in quest’ora buia della nostra Repubblica». E aggiungendo che si è trattato di «un attentato islamista, dettato dall’odio, dall’odio per il nostro modello di vita, dall’odio per la nostra democrazia».

Il Cancelliere austriaco Sebastian Kurz

Attentati a Vienna, la matrice islamica

Si è infatti potuto identificare uno dei carnefici, ucciso dalle forze speciali. Era un ventenne di nome Fejzulai Kujtim, di origini macedoni anche se era nato e cresciuto nel Paese mitteleuropeo. Ed era un simpatizzante dell’Isis, tanto da essere stato condannato a 22 mesi di carcere nell’aprile 2019 per aver cercato di raggiungere la Siria. Nel dicembre successivo, però, era tornato a piede libero in virtù di un regime privilegiato previsto dalla legge a tutela dei giovani.

«Non ci lasceremo intimidire» ha comunque assicurato il Primo Ministro, che ha poi lanciato un monito. «Dobbiamo essere coscienti che non c’è una battaglia fra cristiani e musulmani, o fra l’Austria e i migranti. No. Questa è una lotta fra le molte persone che credono nella pace e alcuni che auspicano la guerra».

Sottoscriviamo. Già la grandissima Oriana Fallaci, infatti, sosteneva che «non tutti i musulmani sono terroristi». Aggiungeva però anche, citando il giornalista saudita Abdel Rahman al-Rashed, che «tutti i terroristi sono musulmani».

È un’iperbole, ma non è lontana dal vero. Il problema è che in troppi, soprattutto ai massimi livelli, fanno del loro peggio per ignorarla. Preferendo, una volta di più, sacrificare la realtà sull’altare di quel cancro della modernità rappresentato dal politically correct.

La genuflessione al politically correct

Anche stavolta, com’era già accaduto in occasione degli omicidi nizzardi, nessuno o quasi dei rappresentanti delle istituzioni mondiali ha pronunciato la parolina tabù. A partire da quelli di casa nostra.

Il Capo dello Stato Sergio Mattarella, per esempio, ha inviato un messaggio di cordoglio al suo omologo austriaco Alexander Van der Bellen. Rinnovando «la determinazione della Repubblica Italiana a collaborare con l’Austria nella lotta contro ogni forma di terrorismo».

Sulla stessa falsariga il bi-Premier Giuseppe Conte, che ha cinguettato la propria condanna degli attentati a Vienna. «Non c’è spazio per l’odio e la violenza nella nostra casa comune europea».

Non è stato da meno – ma sarebbe meglio dire “da più” – neppure Charles Michel, presidente belga del Consiglio Ue. Che a sua volta ha twittato che «l’Europa condanna con forza questo atto codardo che viola la vita e i nostri valori umani. I miei pensieri sono con le vittime e la gente di Vienna sulla scia dell’orribile attacco».

Al netto dei fiumi di parole, rimbomba un silenzio assordante. Quello di chi non riesce proprio a dire quelle quattro sillabe (i-sla-mi-co, anche nelle varianti “islamista” e “musulmano”) che connotano tutti questi barbari episodi.

Non c’è riuscito neppure il Presidente transalpino Emmanuel Macron, che ha optato per una sorta di solennità ecumenica. «Questa è la nostra Europa. I nostri nemici devono sapere con chi hanno a che fare. Non cederemo a nulla». Se non altro, però, Monsieur le Président aveva almeno definito quello di Nizza «un attentato terroristico islamista».

I leader fuori dal coro

Fuori dal coro sono andati solo la Cancelliera tedesca Angela Merkel, che ha affermato che «il terrorismo islamista è il nostro nemico comune. La battaglia contro questi assassini e i loro istigatori è la nostra battaglia comune». E il Presidente Usa Donald Trump che, com’è nel suo stile, non le ha mandate a dire: «questi attacchi malvagi contro persone innocenti devono cessare. Gli Stati Uniti sono a fianco di Austria, Francia e di tutta l’Europa nella lotta contro i terroristi, compresi i terroristi islamici radicali».

Una differenza nettissima rispetto all’altro candidato alle Presidenziali americane, Joe Biden. Il quale si è limitato a scrivere via social che «dobbiamo essere tutti uniti contro l’odio e la violenza».

Una frase che racchiude tutta l’essenza ideologica del politicamente corretto, pregna di delirante pavidità e ipocrisia. Ma un Occidente incapace perfino di chiamare i propri nemici con il loro nome ha già perso, anzi è già morto. Per una tafazzesca autocombustione culturale che nessuna lacrima di coccodrillo potrà mai spegnere.

Attentati a Vienna

Mirko Ciminiello è nato a Rimini nel 1985 e vive a Roma, dove si è laureato in Chimica (triennale) e Chimica Organica e Biomolecolare (specialistica) alla Sapienza, in Scienze della Comunicazione (triennale) e Scienze Cognitive della Comunicazione e dell'Azione (magistrale) a Roma Tre. Giornalista, attore per hobby, collabora con l'associazione Pro Vita e Famiglia ed è autore di 9 libri, di cui due in inglese.