Ultimamente, uno dei pochi temi in grado di infiammare davvero il dibattito è il Fondo salva-Stati, o Mes, o comunque lo si voglia chiamare adesso. In effetti, è un argomento così spinoso da riuscire a rimescolare gli schieramenti politici. Suggerendo al bi-Premier Giuseppe Conte una cautela perfino maggiore del solito.
Conte e il Fondo salva-Stati
Lo
chiamano signor Frattanto in riferimento ai tempi biblici
delle sue deliberazioni. Come da stoccata
del leader di Azione, Carlo Calenda, «Conte non dice e non decide mai
niente». Figurarsi su una materia così delicata e divisiva come il Fondo
salva-Stati.
Era dunque quasi inevitabile che il fu Avvocato del
popolo si esibisse nella specialità della casa – la procrastinazione.
Soprattutto considerando che in ballo non c’è soltanto una bazzecola come il futuro
dell’Italia ma – cosa ben più importante – la tenuta del Governo
rosso-giallo. E che la discussione si incrocia con un’altra importantissima
partita comunitaria – quella sul Recovery Fund e il Bilancio pluriennale
dell’Unione Europea.
«Dovete darmi il tempo che ci vuole» avrebbe
detto infatti Giuseppi ad alcuni Ministri dem in vista del Consiglio
europeo del 17 e 18 luglio. «Il tempo di completare il quadro europeo,
chiudere l’accordo con la Ue al prossimo Consiglio, poi farò il
possibile per convincere il M5S».
I grillini, infatti, sono l’unica forza di maggioranza recisamente
contraria all’uso dello strumento finanziario di Bruxelles, proprio
come, tra le opposizioni, Lega e FdI. D’altra parte, Forza Italia
sarebbe disposta a votare con Partito Democratico, Italia Viva e LeU, ma
i
numeri non sarebbero sufficienti per il via libera.
In questa cornice di (ulteriori) forti fibrillazioni, gli
occhi sono puntati, come spesso accade, sul Movimento 5 Stelle. Nel cui
muro ha appena iniziato a formarsi qualche sottile crepa.
Il dibattito sul Fondo salva-Stati
L’attivazione del Fondo salva-Stati renderebbe
disponibile una linea di credito pari a 36-37 miliardi di euro. Un
prestito con un tasso d’interesse leggermente superiore allo 0,1% annuo, e l’unico
vincolo di usare i fondi per le spese sanitarie legate all’emergenza
Covid-19.
Risorse a cui sarebbe folle rinunciare, affermano
i sostenitori del Mes quali Nicola Zingaretti, segretario del Pd,
o Matteo Renzi, leader di Iv. Secondo
cui «i Cinque Stelle stanno prendendo un po’ di tempo, poi diranno di sì,
come è ovvio e come è logico».
I pentastellati, però, sono sulle barricate, come il resto
degli oppositori del Meccanismo Europeo di Stabilità. Per cui pesano
soprattutto i
rischi legati all’assenza di un provvedimento chiaro sulle famigerate condizionalità
che potrebbero scatenare la trojka e attentare alla sovranità
nazionale. Lacci e lacciuoli la cui esclusione, allo stato attuale, non è
che un gentlemen’s agreement mai ratificato.
Il trattato che ha istituito il Fondo salva-Stati è infatti
ancora in vigore, e oltretutto le tempistiche di un’eventuale modifica non
sarebbero brevi. Servirebbero infatti l’unanimità del Consiglio europeo
(compresi i solidalissimi Quattro frugali) e la successiva ratifica di
tutti i Parlamenti nazionali. Nel frattempo, nulla vieterebbe a
Bruxelles di rimangiarsi la promessa, soprattutto se nel frattempo
l’Italia dovesse dotarsi di un esecutivo meno gradito all’Europa.
Ipotesi, quest’ultima, che nessuno può escludere
categoricamente. «Finiamola con il no ideologico al Mes, altrimenti il Governo
rischia davvero» ha
ammonito per esempio il senatore grillino Primo Di Nicola. E anche
il sottosegretario al Ministero dell’Interno Carlo Sibilia ha concesso
una timida apertura, purché si sia certi che i fondi non costituiscano «una trappola».
La sensazione, cioè, è che il MoVimento finirà per abdicare
ancora una volta alle proprie pretese ideologiche per ragioni, diciamo, di realpolitik.
Stavolta, però, potrebbe non essere così semplice.
Il Fondo salva-Stati e la crisi del M5S
I nipotini del presunto comico, infatti, sono in piena crisi.
Di voti, di nervi e di identità. Nonché di leadership, visto che, dal momento
delle dimissioni di Luigi Di Maio, non c’è un vero capo politico, bensì
un reggente – Vito Crimi.
In questo contesto, i Cinque Stelle si apprestano ad avviare
la campagna elettorale per le Regionali di settembre con lo spettro di
dover ammainare l’ennesima bandiera. Circostanza che potrebbe riverberarsi
non solo sul gradimento degli elettori – per cui sarebbe un altro boccone amaro
da digerire – ma anche sulla sopravvivenza del Conte-bis.
Secondo i rumours, infatti, almeno trenta
parlamentari pentastellati sarebbero pronti a negare l’appoggio al Fondo
salva-Stati. Tra cui sette senatori, che potrebbero risultare determinanti
visto che a Palazzo Madama i rosso-gialli sono già sul filo del rasoio.
È vero che i voti mancanti verrebbero rimpiazzati da quelli
degli Azzurri, ma a quel punto si aprirebbe un enorme problema politico.
Perché il Mes verrebbe approvato da una maggioranza diversa rispetto a
quella che sostiene l’esecutivo.
Il Meccanismo Europeo di Instabilità del Governo
Ecco il motivo per cui, malgrado le sue rodomontate,
il Capo del Governo non ha alcuna intenzione di affrontare a breve il giudizio
dell’Aula. Addirittura, secondo
alcune ricostruzioni avrebbe chiesto aiuto al suo omologo olandese Mark
Rutte, capofila del “blocco del nord Europa”, per riuscire a prendere
tempo. Ricevendo però una replica non esattamente incoraggiante.
«È cruciale che la prossima volta l’Italia sia in grado di rispondere
a una crisi da sola» le
parole del tulipano. A cui il Presidente del Consiglio ha
fatto sapere laconicamente che sì, «l’Italia ce la farà da sola». Anche
perché sui suoi cosiddetti alleati comunitari difficilmente potrà contare.
Intanto, il BisConte punta a superare l’estate, sperando
che, alla fine, prevalga (as usual) l’istinto di autoconservazione
dei grillini. I cui valori, finora, non hanno mai retto alla prova
della poltrona.
Di certo c’è che, per il momento, il Fondo salva-Stati pare
più un Meccanismo Europeo di Instabilità. Per il Governo italiano,
almeno.
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