Tradizionalmente, la riforma
elettorale è l’ultimo provvedimento a cui un esecutivo uscente mette mano. E non a caso, trattandosi della norma
che disciplina il voto per le Politiche
e la successiva composizione del nuovo
Parlamento. Per questo motivo, si tende a considerare il momento in cui si
apre la discussione su tale legge l’inizio
della fine di una legislatura. E si dà il caso che sia proprio ciò che sta
accadendo.
L’accelerazione sulla riforma elettorale
È notizia recentissima che la Conferenza dei Capigruppo di Montecitorio ha deciso di calendarizzare la riforma
elettorale per il prossimo 27 luglio. Accogliendo così la richiesta di
accelerazione proveniente dal Pd,
che ha ricordato come la legge elettorale facesse parte dell’accordo da cui è
nato il Conte-bis. «Pacta sunt servanda» ripetono da giorni,
e non a caso, vari esponenti dem.
Il riferimento è all’intesa raggiunta a fine 2019, quando i rosso-gialli convennero di legare la misura
alla riforma del taglio dei parlamentari.
In quell’occasione, si stabilì di tornare alle urne con un sistema proporzionale con una soglia di
sbarramento al 5%. Che in pratica significa che i seggi dovrebbero essere
ripartiti in proporzione alla percentuale di voti, escludendo quei partiti che
non dovessero raggiungere la succitata asticella.
La nuova norma dovrebbe sostituire il vigente Rosatellum, sempre proporzionale ma con
un correttivo maggioritario. Prevede
cioè un premio, in termini di seggi,
che dovrebbe garantire la governabilità – il condizionale, vista
l’attuale legislatura, è una forma di cortesia.
La fretta del Partito
Democratico ha una duplice spiegazione. Da un lato c’è il referendum settembrino sul taglio dei
parlamentari stesso, dall’altro i sondaggi
che si ostinano a premiare il centrodestra.
L’esito della consultazione referendaria è scontato, e porterà a designare, nella
prossima tornata elettorale, due Camere
dimezzate. Se tale tornata fosse regolata dal Rosatellum, è stato calcolato che il nuovo Governo potrebbe contare sul 60% degli onorevoli. Se a ciò si aggiunge il fatto che il vincitore
dovrebbe essere il leader leghista Matteo
Salvini, l’incubo di via del Nazareno sarebbe completo.
Le fibrillazioni all’interno del Governo
Lo scenario appena descritto, però, si potrebbe
concretizzare solo in caso di caduta del
BisConte ed elezioni anticipate. Di qui l’urgenza della riforma elettorale
che, paradossalmente, potrebbe servire a guadagnare tempo.
Difficile, infatti, tornare alle urne con una normativa approvata da una (e una sola) Camera.
Eppure, nonostante l’impegno dei democratici per evitare che il popolo sovrano possa finalmente scegliere da chi essere guidato, la cornice governativa resta contrassegnata da fortissime fibrillazioni. Per esempio sul Mes, il Fondo salva-Stati su cui persiste ancora il niet del M5S.
L’ultimo casus belli,
invece, riguarda il Decreto
Semplificazioni, che il bi-Premier Giuseppe
Conte considera «la madre di tutte le riforme». Tanto
da non aver gradito affatto i veti
incrociati e, soprattutto, i distinguo e le resistenze del Pd.
In effetti, questo è stato uno dei temi trattati nel recente
incontro tra il fu Avvocato del popolo
e il segretario dem Nicola Zingaretti.
Conclusosi con l’appello del Signor Frattanto affinché, alle prossime Regionali, i grillini si presentino uniti con i democratici. Segno
che Giuseppi sente sempre più traballante la propria poltrona, che
cerca di puntellare rinsaldando l’asse tra i due principali partiti che lo
sostengono. Ricevendo però – almeno per il momento – il secco rifiuto dei pentastellati.
Gli scogli della riforma elettorale
A complicare ulteriormente un quadro già fin
troppo confuso potrebbe poi esserci anche Italia
Viva. Il partito di Matteo Renzi
aveva dato il proprio assenso alla riforma elettorale in un periodo, diciamo,
di forte ottimismo. Costantemente smentito però dalle impietose rilevazioni che
danno puntualmente Iv inchiodata attorno al 3%.
Non si esclude quindi che la soglia di sbarramento possa
essere rivista al ribasso, anche perché sembra già assodata la presenza di voti segreti in Aula. Per non parlare
del timore che l’ex Rottamatore, in un impeto sansoniano, possa scegliere di
“morire con tutti i Filistei”.
Si possono leggere in questa chiave gli avvisi ai naviganti
dei suoi parlamentari. Che hanno precisato che «la priorità è la crisi economica, non la legge elettorale», oltre a
spingere per delle importanti correzioni al Dl
Semplificazioni.
Forse il Presidente del Consiglio pensava anche a questi
scogli quando si è lasciato sfuggire che «è il momento del
coraggio, io ho fretta, frettissima».
Il tempo, infatti, è notoriamente tiranno. E queste accelerazioni estive hanno
tanto il retrogusto di un Governo
all’ultima spiaggia.
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