Senza alcun coup de théâtre, il Senato si è espresso per il processo a Salvini. Il leader della Lega andrà dunque alla sbarra per il caso della nave Open Arms, trattenuta in mare con 164 migranti a bordo nell’agosto 2019. Una votazione, quella di Palazzo Madama, che ha messo a nudo tutte le imbarazzanti contraddizioni insite nel Governo rosso-giallo. E che, per buona misura, ha fatto strame di uno dei princìpi fondamentali del diritto e della democrazia liberale – la separazione dei poteri.
Via libera al processo a Salvini
Con 149 voti favorevoli, la Camera Alta ha concesso al Tribunale di Palermo l’autorizzazione a procedere contro il segretario del Carroccio Matteo Salvini. La suspense, se mai c’era stata, è evaporata nel momento in cui il leader di Iv Matteo Renzi ha rotto gli indugi. Annunciando l’intenzione di bocciare la relazione della Giunta per le Immunità che aveva rifiutato l’autorizzazione stessa.
«Per me l’interesse costituzionale, e quello pubblico, non c’è in questa vicenda», le parole del fu Rottamatore. Che ha smentito anche il suo capogruppo, Davide Faraone, il quale poco prima aveva dichiarato che «c’è una responsabilità oggettiva, secondo noi, dell’intero Governo».
Non è, peraltro, l’unico passaggio in cui l’ex Presidente del Consiglio ha dovuto arrampicarsi sugli specchi stile Uomo Ragno. Per esempio perché in molti hanno ricordato come, in Giunta, Italia Viva si fosse astenuta, negando così il placet ai togati siciliani.
«A Renzi non credono più nemmeno i suoi genitori» ha commentato sarcastico il Capitano. Aggiungendo che «per salvare la sua poltrona Renzi potrebbe arrivare a sostenere che oggi è domenica. La credibilità di Renzi e del suo gruppo, non per Salvini ma per gli Italiani, è pari allo zero».
Ancor più caustica l’azzurra Licia Ronzulli. «Il suo garantismo è a senso unico alternato», ha rinfacciato al senatore fiorentino.
Il centrodestra è certo che il processo a Salvini sia un atto politico, la riedizione cioè della cosiddetta “giustizia a orologeria”. Concetto espresso, tra gli altri, dalla presidente di FdI Giorgia Meloni: «La sinistra impari a battere i suoi avversari nelle urne, se ne è capace».
D’accordo l’ex vicepremier dell’esecutivo Conte-semel, secondo cui «una parte minoritaria della giustizia fa politica». Era puramente voluto ogni riferimento alle vicende riguardanti i Governatori del Lazio, il dem Nicola Zingaretti, e della Lombardia, il leghista Attilio Fontana.
Il caso Open Arms
Il segretario leghista è accusato di «sequestro di persona» e altre amenità in relazione all’arcinota vicenda della Open Arms. Il natante dell’omonima ong spagnola che, l’agosto scorso, aveva scarrozzato – pardon, salvato – 164 clandestini, chiedendo poi un porto sicuro. Che l’allora Ministro dell’Interno negò ritenendo che l’obbligo gravasse sulla Spagna, Paese di cui il taxi del mare batteva bandiera, o su Malta, l’approdo più vicino. Nonché in forza del Decreto Sicurezza bis, che consentiva di vietare «l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale» per ragioni di ordine pubblico.
I migranti, compresi alcuni minori non accompagnati, dovettero quindi «rimanere a bordo per sei giorni, dal 14 agosto» fino al 20 agosto. Data in cui il Procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio sequestrò l’imbarcazione, permettendo lo sbarco di quanti vi si trovavano.
«Sono assolutamente tranquillo perché ritengo di aver difeso i confini, la sicurezza, l’onore e la dignità del mio Paese». Così ha fatto spallucce l’ex titolare del Viminale, assicurando che a processo andrà «a testa alta».
Al contempo, Salvini ha messo a nudo tutta l’ipocrisia della maggioranza rosso-gialla. La quale, in virtù dell’auto-dichiarato stato di emergenza, ha sequestrato per mesi (giusto o sbagliato che fosse) 60 milioni di Italiani in casa propria. Però spalanca le frontiere a persone che poi risultano affette da coronavirus, senza minimamente considerare l’interesse nazionale. E, dulcis in fundo, spaccia per abuso di potere il divieto d’ingresso alla Open Arms in un’epoca in cui la pandemia da Covid-19 non c’era. Il discrimine, cioè, parrebbe essere la presenza del Capitano al Governo. Ma non è possibile che si facciano due pesi e due misure, giusto?
Il processo a Salvini e la genuflessione alla magistratura
Il processo a Salvini ha poi un’ulteriore implicazione, forse meno immediata ma potenzialmente ancora più nefasta. Perché il verdetto sui reati contestati al leader leghista sarà anche una sentenza sull’intera linea politica del Governo giallo-verde in materia di immigrazione.
È una sorta di eterogenesi dei fini del giustizialismo più becero e miope. Che, nell’ancestrale angoscia dell’anemia di consensi cui sopperire anche con metodi, diciamo, eterodossi, ha portato alla totale genuflessione del potere politico al potere giudiziario.
Neppure lo scandalo Magistratopoli, a quanto pare, ha potuto nulla contro questa sconcertante brevimiranza. Patronaggio, infatti, compare nelle chat intercettate dell’ex Pm Luca Palamara (sotto inchiesta a Perugia), che nel periodo caldo lo invitava a non arretrare. «Carissimo Luigi ti sono vicino, sii forte e resisti siamo tutti con te, un abbraccio».
A questa circostanza si è riferito lo stesso segretario del Carroccio parlando di «processo politico “alla Palamara”». E ricordando come l’ex presidente dell’Anm avesse ammesso che Salvini aveva ragione, ma andava comunque attaccato.
L’aspetto paradossale è che anche l’altro Matteo ha condannato questa degenerazione. «Non è accettabile che ci siano delle chat in cui si dice che un mio avversario debba essere attaccato. È uno scandalo» ha tuonato l’ex Premier.
Che però, scordandosi ancora una volta dove sia di casa la coerenza, ha approvato il processo a Salvini e il grave vulnus che ne deriva. Montesquieu si rivolterebbe nella tomba, il che se non altro lo mette al riparo dal bacio della morte “alla ribollita”. In effetti, è uno dei pochi a poter stare davvero sereno, anche nell’ormai mitologico senso di Spider-Mat. E perfino tra le “braccia aperte” capaci di rovesciare lo stato di diritto.
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