Più che a schermaglie politiche, sulla prescrizione sembra di star assistendo a una partita di poker. Un gioco d’astuzia, snervante e spietato, fatto di continue mosse e contromosse, bluff e colpi di scena – che potrebbe avere in palio la sopravvivenza stessa del Governo Conte bis: e che, in ogni caso, non potrà, metaforicamente parlando, concludersi senza vittime.
Gli schieramenti sono ormai arcinoti: da un lato ci sono i tre quarti della maggioranza rosso-gialla, vale a dire M5S, Pd e LeU, strenui sostenitori della legge che porta il nome del Guardasigilli pentastellato Alfonso Bonafede e mira ad annullare l’istituto giuridico che estingue i procedimenti giudiziari in caso di eccessiva durata (eccezion fatta per determinati reati); dall’altro lato c’è Italia Viva, la quarta gamba dell’esecutivo, che non vuol neppure sentir parlare di una misura che potrebbe trasformare i cittadini «in imputati a vita», minaccia sfracelli in Parlamento e replica colpo su colpo.
Come quando da Palazzo Chigi erano evidentemente convinti di aver segnato un punto a proprio favore, facendo trapelare l’idea di inserire l’accordo di maggioranza, il cosiddetto “lodo Conte bis” (che non prende il nome da Giuseppi, bensì dall’omonimo deputato di LeU Federico) nel Decreto Milleproroghe e poi porre la fiducia sul provvedimento: neppure i renziani, era il ragionamento, sarebbero stati così masochisti da provocare una crisi di Governo, soprattutto nell’imminenza di un’importante serie di nomine nelle grandi aziende pubbliche. Ma gli azionisti di maggioranza del BisConte non avevano fatto i conti con l’ex Rottamatore e con la sua passione per Niccolò Machiavelli.
È stato da una riunione straordinaria del suo gruppo parlamentare che Matteo Renzi ha dettato la linea: nessun voto di fiducia, se l’esecutivo avesse persistito in quella che era considerata una provocazione, Iv sarebbe uscita dall’Aula o si sarebbe astenuta per non far cadere il Governo ma, un minuto dopo, avrebbe presentato una mozione di sfiducia individuale contro il Ministro della Giustizia.
«Nessuno vuol far cadere il Governo ma non accetteremo mai di diventare grillini. Meno che mai sulla giustizia» ha tuonato via social l’ex Presidente del Consiglio. «La legge Bonafede cambierà. Come e quando cambierà dipende dalle arzigogolate tattiche parlamentari. Ma nella sostanza: noi non ci fermeremo» perché il lodo è incostituzionale.
Apriti cielo. Il Pd, confermando la storica vocazione a non rispondere mai nel merito delle argomentazioni, ha accusato i fuoriusciti di essere «diventati estremisti che frammentano il nostro campo e fanno un favore a Salvini»: così il segretario Nicola Zingaretti, con un attacco che poi non sarebbe altro che la versione contemporanea della tanto amata reductio ad Hitlerum.
Nel frattempo, tanto i dem che il MoVimento precisavano che la sfiducia nei confronti di un Ministro, da parte di un partito di maggioranza, equivale a sfiduciare l’intero esecutivo. E anche il bi-Premier Giuseppe Conte, secondo indiscrezioni, si sarebbe detto stufo dei diktat destabilizzanti di Iv. Che, però, non è arretrata di un passo.
«Se qualcuno vuole mettere una bandierina e trasformare un partito riformista in un partito giustizialista, beh con Italia Viva ha sbagliato destinatario» si è sfogato in un’intervista televisiva l’altro Matteo, aggiungendo: «Dicono che io mi fermo per aspettare le nomine. Si vede che non mi conoscono». Insomma, après moi le déluge!
E la linea dura del senatore fiorentino ha svelato il bluff di Palazzo Chigi, confermato poi dal Ministro per i Rapporti col Parlamento Federico D’Incà: nessun emendamento sulla prescrizione sarebbe stato inserito nel Milleproroghe – e del resto sarebbe stato «del tutto estraneo per materia» al provvedimento, come evidenziato dal forzista Enrico Costa.
Una decisione accolta favorevolmente da Renzi, che ha cinguettato il proprio apprezzamento: più facile, dopo aver vinto l’ultima, faticosissima mano. Troppo presto, però, per parlare di distensione.
Italia Viva, col senatore Davide Faraone, ha rilanciato la proposta di un rinvio annuale della riforma, ipotesi che però si scontra con i propositi altrettanto bellicosi dei Cinque Stelle: «indietro non si torna, non con noi».
In effetti, tutte le parti si sono spinte troppo oltre per poter semplicemente far finta di nulla. Anche una dilazione potrebbe non servire a granché, se i problemi si dovessero poi ripresentare identici dopo dodici mesi – e nulla, al momento, lascia presagire il contrario.
Se così fosse, prima o poi qualcuno, inevitabilmente, dovrà perdere la faccia. Oppure tutti, nessuno escluso, perderanno la poltrona.
La partita di poker prosegue, come nella miglior tradizione di Casino royale. O, in un senso parodistico che probabilmente è più appropriato al contesto, di Casino totale.
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