Diciamoci la verità: non è di certo un bel momento per chi fa di cognome Conte. Notoriamente, del resto, la sfortuna, a differenza della cugina bendata, ci vede benissimo, e oltretutto la legge di Murphy è sempre lì in agguato. Tuttavia, se i guai del tecnico Conte (Antonio) coinvolgono solo i tifosi dell’Inter, ben altra risonanza hanno le vicissitudini del Premier Conte (Giuseppe).
Il faccia a faccia tra i due vicepremier Matteo Salvini e Luigi Di Maio dovrebbe aver contribuito a rasserenare un po’ il clima. Ma ciò non toglie che quella parolina di cinque lettere che inizia per “c” venga ormai evocata sempre più spesso: il che, sia chiaro, non implica nulla, visto che proverbialmente can che abbaia non morde. Intanto, però, l’escalation delle tensioni interne alla maggioranza giallo-verde aveva fatto scendere in campo anche la cavalleria quirinalizia.
«Le istituzioni della nostra Repubblica hanno bisogno di un clima di fattiva collaborazione» ha ammonito il Capo dello Stato Sergio Mattarella durante la tradizionale cerimonia del Ventaglio con l’Associazione stampa parlamentare. Facile a dirsi, molto meno a farsi, quando la deflagrazione è sempre dietro l’angolo.
Su un solo punto, infatti, pare che tutti siano d’accordo: la necessità di fare. «Dobbiamo lavorare, non chiacchierare» ha tagliato corto Conte (Giuseppe), interpellato dai cronisti sul non-pranzo dei suoi vice – a cui lui non ha partecipato. Salvini si è subito detto d’accordo, aggiungendo di apprezzare «il Governo che fa, non che discute e che litiga». Sulla stessa lunghezza d’onda si è attestata la maggioranza, che in riferimento all’incontro tra i leader della Lega e del M5S ha parlato di clima positivo e di un confronto utile e costruttivo.
E tuttavia, malgrado le dichiarazioni rassicuranti, è difficile scordare che la giornata si era aperta con l’attacco del Ministro dell’Interno, che aveva liquidato le parole del Presidente del Consiglio sul caso dei fantomatici fondi russi alla Lega con un secco «mi interessano meno di zero». Non solo, il segretario del Carroccio aveva puntato l’indice contro un passo dell’informativa del Premier che nessun commentatore aveva giudicato degno di nota, quello in cui Conte (sempre Giuseppe) si diceva pronto a tornare in Senato in caso di caduta del suo Governo.
Salvini non ha gradito, e non ha fatto nulla per nasconderlo, esprimendo la sua perplessità per quello che gli è apparso come un gioco di palazzo, «come se ci fosse la necessità di cercare degli Scilipoti di turno per non andare a casa». Il “vice dei due vice” non poteva certo lasciar correre, e ha replicato bollando l’ipotesi della ricerca di una maggioranza alternativa come assolutamente fantasiosa.
Resta il fatto che di grane che possono assumere le sembianze del casus belli ce ne sono a bizzeffe. L’ultima in ordine cronologico non è tanto il “Russiagate alla cassoeula”, che appassiona solo Pd e affini e verosimilmente si sgonfierà come una bolla di sapone, quanto il placet del Presidente del Consiglio alla Tav.
I grillini sono rimasti completamente spiazzati da questo avallo, tanto da aver hanno lasciato Palazzo Madama durante l’informativa del Premier – anche se neppure loro sanno perché. Come ha argomentato il senatore Michele Giarrusso, «doveva essere il giorno in cui la Lega doveva dare spiegazioni sui fondi russi, invece è diventata la Caporetto del MoVimento». In molti si sono scagliati contro Di Maio, il quale ha cercato di salvare quel minimo di salvabile scaricando la responsabilità della decisione sul Parlamento: dove però tutti i partiti, tranne appunto il M5S, sono a favore della Tav.
«Una posizione pilatesca» si è sfogato il senatore piemontese Alberto Airola, tanto sconcertato da definire quello del capo politico un imbroglio. Ironizzando, si potrebbe commentare che, se non ci sono cascati nemmeno gli stessi pentastellati, significa proprio che la mossa di Giggino era un’arma spuntata.
Airola ha comunque smentito le proprie paventate dimissioni, conscio che altrimenti sarebbe condannato all’irrilevanza. Con le dovute proporzioni, è lo stesso ragionamento che Di Maio ha opposto a quanti, tra i Cinque Stelle, hanno iniziato a spingere per la caduta dell’esecutivo: come Gianluigi Paragone che, rovesciando il dettato andreottiano, si è detto certo che sia meglio tirare le cuoia (politicamente, of course) che tirare a campare. Un’ipotesi esclusa categoricamente dal Ministro del Lavoro, ben conscio che da nuove elezioni i grillini avrebbero solo da perdere.
Nel frattempo, il Premier Conte resta a bagnomaria, un po’ come il suo omonimo Antonio, che solo pochi giorni fa si era sfogato con la dirigenza dell’Inter per i ritardi sul calciomercato e le mancate cessioni di giocatori fuori dal suo progetto tecnico. Non a caso, sui social si è diffusa la battuta che la stessa squadra nerazzurra sarebbe fuori dal suo progetto tecnico.
L’estate, insomma, è ancora lunga, ma il clima è già infuocato – e non solo dal punto di vista meteorologico. Il tempo, come sempre, avrà l’ultima parola. E sancirà se chi di dovere sarà riuscito infine a far quadrare i Conte in sospeso.
*Foto dal sito del Governo
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