In tempo di coronavirus, epoca di profondo cambiamento delle abitudini, capita che perfino gli aforismi vadano aggiornati – fortunatamente, in meglio. Se infatti Goethe affermava che «vedi Napoli e poi muori», oggi è proprio dal capoluogo partenopeo che arriva una ventata di ottimismo contro il microscopico esserino che sta mettendo sotto scacco il mondo intero. Per la precisione, dall’ospedale “Domenico Cotugno” dove, grazie anche alla partnership con l’Istituto Nazionale Tumori IRCCS “Fondazione G. Pascale”, due pazienti gravi, sottoposti a una terapia sperimentale, hanno mostrato sensibili miglioramenti in un giorno appena.
Il farmaco della speranza si chiama tocilizumab, e normalmente viene impiegato per curare l’artrite reumatoide: tuttavia, si era dimostrato efficace contro la polmonite causata dal COVID-19 già in Cina dove, in 24-48 ore, aveva dato esiti incoraggianti su 20 dei 21 pazienti a cui era stato somministrato. Si tratta del cosiddetto uso “off label”, ovvero al di fuori delle indicazioni per cui un medicinale è stato registrato.
Ora, però, «è molto importante che il suo utilizzo venga esteso quanto prima, così potremo salvare più vite», come ha evidenziato il professor Paolo Ascierto, presidente della Fondazione Melanoma e Direttore dell’Unità di Oncologia Medica Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative del “Pascale”. Per questo «serve subito un protocollo nazionale», e anche uno studio clinico multicentrico che consenta di validare i risultati preliminari.
Il dottor Ascierto ha comunque precisato che il tocilizumab non è un farmaco specifico per il coronavirus: ne combatte però gli effetti, producendo un miglioramento delle capacità respiratorie che consente di avviare il percorso di guarigione e di conseguente uscita dalla terapia intensiva.
L’intuizione degli specialisti è stata quella di concentrarsi sull’infiammazione polmonare associata alla patologia, in cui sembra giocare un ruolo importante una proteina chiamata interleuchina 6. Si tratta di una molecola prodotta da determinate cellule per stimolare la risposta immunitaria – un po’ come un sistema d’allarme biologico. A volte, però, questo guardiano naturale “impazzisce”, e, anziché dirigere l’artiglieria pesante contro il nemico, fa sì che il sistema immunitario attacchi l’organismo stesso, causando quelle che vengono definite “malattie autoimmuni” – come, appunto, l’artrite reumatoide.
Per capire la dinamica, è come se il nostro corpo avesse a disposizione una squadra di cecchini in attesa che degli informatori indichino loro gli obiettivi: solo che gli informatori, di punto in bianco, iniziano a piazzare i bersagli davanti alle postazioni alleate, scatenando il più letale dei fuochi amici. Il tocilizumab riesce a neutralizzare proprio gli informatori – cioè l’interleuchina 6 -, impedendo le false segnalazioni alla base del masochistico bombardamento. E oltretutto, rispetto ad altri medicinali usati – sempre in via sperimentale – per trattare il contagio da COVID-19, ha il pregio di essere somministrato in un’unica soluzione e di non interferire con il protocollo terapeutico a base di antivirali.
Naturalmente è ancora troppo presto per esultare, ma forse si può guardare all’immediato futuro con maggiore fiducia. E, in un momento in cui l’Italia è sotto i riflettori dell’intero orbe terracqueo esclusivamente per le drammatiche notizie relative all’epidemia, questo successo, benché ancora parziale, ha un gusto tutto particolare: probabilmente perché, proprio come il celeberrimo «napalm al mattino» di Apocalypse now, profuma di vittoria.
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