«C’è evidenza che la curva epidemica ha raggiunto il suo plateau e adesso ha iniziato la discesa. Fortunatamente ha iniziato la discesa anche il numero dei morti che è un altro dato estremamente importante». La buona notizia (benché le cifre sui decessi continuino a ballare) era venuta direttamente dal presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Silvio Brusaferro, che aveva anche aggiunto che «dovremo cominciare a pensare a una fase 2 che però si può pensare se questi dati si confermano».
Questo secondo stadio, che il bi-Premier Giuseppe Conte aveva definito come periodo della convivenza con il virus, dovrebbe lentamente spianare la strada alla fine del lockdown e al ritorno alla vita quotidiana. Di cui, peraltro, iniziano a moltiplicarsi gli indizi: perché, dopo un periodo di quiescenza dovuto all’emergenza coronavirus, sono tornate ad affacciarsi, dapprima timidamente, poi sempre più con l’abituale invadenza, le usate farneticazioni.
Naturalmente, il primo vaneggiamento a fare capolino non poteva che essere quello ancestrale, l’allarme per un fascismo 2.0 che non ha nessuna ragion d’essere e, per l’occasione, ha vestito i panni del Premier magiaro Viktor Orbán, reo di aver ottenuto dal Parlamento di Budapest i pieni poteri per meglio opporsi alla crisi da coronavirus: cioè la stessa cosa che ha fatto il fu Avvocato del popolo, però nelle segrete stanze di un Consiglio dei Ministri attraverso la dichiarazione dello stato di emergenza nazionale.
Poi erano iniziati, più o meno in contemporanea, i grandi ritorni dal dimenticatoio. Quello ittico guizzato direttamente nel tubo catodico, subito seguito dai deliri dei giovani verdi in versione sciopero digitale – per cui si attende un apposito decreto chiarificatore dalla Svezia.
Nel frattempo, non poteva mancare l’ossessione precipua, quella per il segretario della Lega Matteo Salvini: che stavolta ha fatto scattare l’avito riflesso pavloviano con la richiesta «di poter permettere a chi crede, rispettando le distanze, con mascherine e guanti e in numero limitato, di entrare nelle chiese» a Pasqua, perché «per milioni di Italiani può essere un momento di speranza da vivere».
Intendiamoci, benché sia certamente vero che «per molti è fondamentale anche la cura dell’anima oltre alla cura del corpo», l’appello del Capitano, come minimo, era decisamente poco pratico, per cui le usuali accuse di demagogia erano da mettere tranquillamente in conto. A sorprendere, una volta di più, sono state piuttosto le reazioni isteriche da parte di alcuni sacerdoti che, continuando a scambiare la Chiesa per una Ong, perseverano nel dispensare ostentatamente misericordia a destra e a manca, ma risultano curiosamente parchi verso quanti non ne condividono l’ideologia immigrazionista.
Il vero capolavoro, però, è arrivato quando il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Andrea Martella ha annunciato la creazione di una task force destinata a combattere la «massiccia, crescente diffusione di disinformazione e fake news relative all’emergenza Covid-19». Vale a dire che quelli che per giorni hanno ragliato di allarmismi infondati, quelli che irridevano il Governatore lombardo Attilio Fontana per aver indossato l’ormai irrinunciabile mascherina mentre loro si pavoneggiavano tra irresponsabili aperitivi pubblici e patetici inviti ad abbracciare Cinesi – costoro pretenderebbero ora di contrastare le bufale diffuse via web sulla pandemia, che per inciso è esattamente una delle accuse che muovono allo spauracchio ungherese.
A conferma che, più che una task force, è una sorta di Commissione Segre in era coronavirus, «proprio come il Ministero della Verità di orwelliana memoria», come ha ironizzato la leader di FdI Giorgia Meloni: la quale, en passant, ha anche fatto notare che del gruppo di esperti allestito dal Governo rosso-giallo non fa parte «neppure un medico o un virologo».
Eppure, anche questi vaniloqui sono in qualche modo un buon segno. Tracce di normalità, appunto.
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