Di quando in quando, il Vaticano torna a essere scosso dai dubbi sulla cosiddetta Magna Quaestio. Ovvero la “grande questione” su chi sia davvero il Papa, viste le difficoltà a interpretare la celeberrima Declaratio di Benedetto XVI come certificazione di dimissioni. Le riflessioni più recenti arrivano da Oltreoceano: anche se hanno il torto di non cogliere realmente nel segno.
La Magna Quaestio in Vaticano
“Perché l’elezione di Papa Francesco potrebbe essere invalida in base a un documento di Giovanni Paolo II”. È il titolo (tradotto) di una recente puntata del John-Henry Westen Show, il podcast settimanale dell’eponimo co-fondatore del sito cristiano LifeSiteNews. Durante la quale lo scrittore canadese Patrick Coffin ha discusso la possibilità che Jorge Mario Bergoglio sia un antipapa.
Il j’accuse è duplice. Anzitutto, la designazione bergogliana sarebbe avvenuta in violazione della costituzione apostolica Universi Dominici gregis, promulgata da Papa Wojtyła nel 1996. Inoltre, Francesco «ha deliberatamente attaccato il deposito della fede», per esempio con la nota intronizzazione in Vaticano dell’idolo pagano Pachamama.
Quest’ultima argomentazione però è abbastanza soggettiva, e a un oppositore basterebbe non dirsi d’accordo per disinnescarla. Più interessante è il primo assunto, che fa riferimento all’atto con cui, tra l’altro, Papa Giovanni Paolo II ha disciplinato proprio l’elezione del Romano Pontefice. Coffin ha citato in particolare le sezioni 76, 80, 81 e 82. Le quali, sostanzialmente, vietano accordi tra i Cardinali elettori durante un Conclave, pena la scomunica latae sententiae per i trasgressori e la nullità della nomina.
Ebbene, che delle trame siano state ordite nel 2013 lo sappiamo per certo, perché lo ha rivelato il defunto Cardinale belga Godfried Danneels. Il quale, nella sua (mai smentita) autobiografia del 2015, riconosceva di far parte della Mafia di San Gallo, che mirava proprio a far abdicare Papa Ratzinger. Tuttavia, anche Coffin ammette che sarebbe complicato portare quest’istanza davanti a un tribunale canonico, perché nel giudizio sarebbero coinvolti i porporati che hanno commesso le succitate irregolarità.
La chiave è la sede impedita di Benedetto XVI
In ogni caso, il vizio del ragionamento è a monte, perché il problema vero precede sia l’investitura che il mandato di Bergoglio. E sta nella possibilità concreta che Papa Benedetto XVI non si sia mai dimesso, essendosi piuttosto autoesiliato in sede impedita.
Questa, infatti, è l’unica interpretazione che può “salvare” la Declaratio ratzingeriana, che altrimenti sarebbe giuridicamente invalida. Come hanno dimostrato autorevoli giuristi quali l’avvocatessa Estefanía Acosta e il docente Antonio Sánchez Sáez, usando significativamente le stesse argomentazioni di canonisti “bergogliani” come Monsignor Giuseppe Sciacca.
Va da sé che, se quella di Joseph Ratzinger non era una rinuncia, rimane lui l’unico legittimo Vicario di Cristo. Ecco perché è qui la chiave di tutta l’intricata vicenda. Chiave di San Pietro, ça va sans dire.
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