Ogni giorno che passa, lo scandalo Magistratopoli si arricchisce
(si fa per dire) di nuovi capitoli. Quello più recente ha come protagonista –
suo malgrado – il leader di FI Silvio
Berlusconi. E, come i precedenti, restituisce ai cittadini già sconcertati
un quadro a tinte sempre più fosche.
Le ombre sulla sentenza
Berlusconi
C’era un periodo in cui
l’allora Premier Berlusconi tuonava quasi quotidianamente contro le toghe rosse e la giustizia a orologeria. Con il regolare controcanto degli intelliggenti con-due-g secondo cui una cornucopia di 70
processi – uno più inutile dell’altro – non costituiva una
persecuzione giudiziaria.
Di questa pletora di
procedimenti, uno solo si è concluso con la condanna del fondatore di Forza Italia. Quello per frode fiscale
in relazione ai diritti Mediaset,
passata in giudicato nel 2013 con sentenza della sezione feriale della Cassazione. Che allora era presieduta
dal magistrato Antonio Esposito
(oggi editorialista del quotidiano dei manettari),
mentre relatore del caso era l’altro togato – ora defunto – Amedeo Franco. Il quale all’epoca aveva chiesto l’assoluzione
del Cav perché non vi era reato.
Secondo l’accusa, l’azienda
di Cologno Monzese aveva comprato dei film americani attraverso la finta
mediazione del produttore egiziano Frank
Agrama. Gonfiando poi le fatture
onde spartire con il prestanome l’eccedenza finanziaria.
Per questo Berlusconi (che, da Premier, non si occupava minimamente di Mediaset) venne condannato a 4 anni di reclusione, di cui 3 coperti da indulto. Scontò quindi la pena ai servizi sociali e, per buona misura, subì anche l’espulsione dal Senato in base alla legge Severino. Unico caso, da Cavour in poi, di applicazione retroattiva di una qualsivoglia norma.
Nel gennaio scorso, però, il
verdetto è stato letteralmente fatto a pezzi da un’altra sentenza, emessa dal Tribunale civile di Milano interpellato dalla stessa Mediaset. I
togati hanno infatti stabilito che non vi fu un’intermediazione fittizia, né
un’appropriazione indebita, e che il prezzo
di acquisto era ottimo.
Già questo sarebbe un duro
colpo per gli antropologicamente superiori
e, soprattutto, per la credibilità della
magistratura. Ma l’aspetto più avvilente è che tutto questo è solo la punta
dell’iceberg.
Lo scandalo Magistratopoli ante litteram
«Presidente, sa benissimo che
è stata una porcheria». Così esordiva Amedeo Franco – cioè, come detto, il relatore del
processo sui diritti Mediaset – in un colloquio con il leader azzurro. Colloquio avvenuto alla presenza di testimoni, uno dei quali
registrò l’amaro sfogo
dell’ermellino. Che gli avvocati del Cav avevano deciso di non usare proprio
per rispetto del giudice, ancora in attività.
Solo dopo la dipartita del
magistrato, i legali di Berlusconi hanno depositato la registrazione presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo,
nell’ambito del proprio ricorso. E
tale registrazione è stata resa pubblica dal programma Quarta Repubblica.
Tra le altre cose, Franco riferiva all’ex Presidente del Consiglio i pensieri di buona
parte dei suoi colleghi. «”Berlusconi deve
essere condannato a priori perché è un mascalzone!” Questa è la
realtà… a mio parere è stato trattato ingiustamente e ha subito una grave ingiustizia… l’impressione che tutta
questa vicenda sia stata guidata
dall’alto».
Dichiarazioni gravissime, a
cui si accompagnava il racconto di voci che, se fossero confermate, sarebbero a
dir poco inquietanti. «Sussiste una malafede
del presidente del Collegio, sicuramente…» la rivelazione di Franco. Esposito (che
comunque ha già smentito) avrebbe infatti
subito “pressioni” perché il figlio era
indagato dalla Procura di Milano per «essere stato beccato con droga».
Franco concludeva paragonando il processo Mediaset a un «plotone d’esecuzione». Che ha «rovinato
un partito e deviato
il corso della politica nazionale». Cosa che, del resto, cercavano di fare anche le toghe intercettate nello scandalo
Magistratopoli, tramando contro il leader leghista Matteo Salvini. Pare che fin troppo spesso la giustizia non abbia nulla a che fare con l’accertamento della verità. Ahinoi.
Lo scandalo Magistratopoli e
la rabbia di FI
«C’era una precisa volontà politica di
colpire Silvio Berlusconi, leader della più grande forza politica del
Paese. Visto che non lo si poteva sconfiggere con le elezioni, allora si
è cercato di sconfiggerlo per
via giudiziaria». Così Antonio Tajani,
vicepresidente di FI, paragonando la vicenda al noto affaire Dreyfus.
Il j’accuse, del resto, ha
percorso come un’onda di indignazione l’intero partito, che ha faticato a
contenere la rabbia dopo la diffusione dell’intercettazione ambientale. Di «stupro democratico» e «obbrobri
giuridici» ha parlato la presidente dei senatori azzurri Anna Maria Bernini. E la vicecapogruppo a Palazzo Madama, Licia Ronzulli, ha chiesto che
Berlusconi venga risarcito politicamente mediante la nomina a senatore a vita.
Più di un esponente di Forza
Italia, poi, ha invocato una riforma
della giustizia che preveda la separazione
delle carriere tra giudici e Pm. Che, en
passant, era un’idea espressa anche dal rimpiantissimo Giovanni Falcone.
Inoltre, sempre Tajani ha chiesto a gran voce «una Commissione
d’inchiesta su quanto è accaduto a Berlusconi e sul cattivo funzionamento
della giustizia». E perfino il leader di Iv Matteo Renzi ha dichiarato che «un Paese serio su una vicenda
del genere non può far finta di nulla».
Il silenzio assordante dei giustizialisti
Non pervenuti, invece, i giustizialisti di ieri e di oggi, il
cui silenzio assordante non depone esattamente a loro favore. A cominciare dal Pd, che d’altronde il deputato Umberto Del Basso De Caro ha confessato
essere in preda a una preoccupazione palpabile.
Il motivo sarebbe la richiesta, da parte della presidente del Senato Elisabetta Alberti Casellati, di divulgare tutte le intercettazioni riguardanti l’ex presidente dell’Anm Luca Palamara. Comprese alcune che, stando al parlamentare dem, coinvolgerebbero anche il segretario Nicola Zingaretti.
Lo scandalo Magistratopoli,
insomma, pare non finire mai. E, nella questione specifica, ha evidenziato
pure, in puro stile Oscar Wilde,
l’importanza di essere Franco.
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