San Lorenzo, io lo so
perché tanto / di stelle per l’aria tranquilla / arde e cade, perché sì gran
pianto / nel concavo cielo sfavilla.
Si apre così la poesia X
agosto, composta da Giovanni Pascoli
per ricordare la morte del padre Ruggero, assassinato proprio il 10 agosto del
1867. Il componimento lega il tragico evento a quella che è
universalmente nota come la “notte
delle stelle cadenti”. Nome romantico che trae
origine dallo sciame meteorico
che incrocia in questi giorni la traiettoria della Terra, raggiungendo il suo picco il 12 agosto.
Gli astronomi le chiamano ”Perseidi”, denominazione che deriva dallo spicchio di cielo da cui
sembrano provenire tutte le scie luminose – la costellazione di Perseo. Prosaicamente, si tratta di particelle
rilasciate dalla cometa Swift-Tuttle nel suo ultimo passaggio
vicino al Sole, datato 1992.
Nella tradizione, invece, sono note come Lacrime di San Lorenzo. Definizione
poetica che rievoca i carboni ardenti
su cui l’arcidiacono venne martirizzato
nel 258, a 33 anni, durante
la persecuzione scatenata dall’Imperatore romano Valeriano.
La pioggia meteoritica non è peraltro l’unico fenomeno astronomico che fa bella mostra di sé in questo periodo. In cui è visibile anche Giove, accompagnato dal gemello Saturno, e in cui dà spettacolo il cosiddetto “triangolo estivo”. Una particolare formazione stellare costituita da Vega, nella costellazione della Lira; Deneb, nella costellazione del Cigno; e Altair, nella costellazione dell’Aquila. Perché lo spazio non smette veramente mai di sorprendere.
Lo spazio non smette mai di sorprendere
A tal proposito, è notizia recentissima che alcuni
ricercatori giapponesi hanno
teorizzato l’esistenza di una nuova
classe di corpi celesti, finora mai osservati. Si tratta di ipotetici
pianeti che si
formerebbero nei pressi dei buchi
neri, restando poi in orbita attorno a questi voracissimi colossi. A debita
distanza, beninteso.
Gli studiosi li
hanno battezzati blanets, che sta per black hole planets. In italiano, questo
termine andrebbe tradotto, letteralmente, come bianeti. Ed è in modo simile ai pianeti veri e propri che questi
oggetti prenderebbero vita.
L’idea, infatti, è che si
formino a partire dal cosiddetto disco
di accrescimento, l’insieme di polveri e gas che vorticano intorno al buco
nero. È probabile che questo materiale resti in orbita – ruotando in maniera
estremamente rapida – per un lunghissimo arco temporale, forse anche miliardi
di anni. È quindi verosimile che i piccoli granuli inizino
a interagire e a ingrandirsi, finché la forza di gravità non riesce a prendere il sopravvento.
In questo modo, in pochi milioni di anni si potrebbero
formare blanets di grandezza
paragonabile a quella della Terra, purché si trovino
oltre la cosiddetta snowline (o frost line). Il “limite della neve”, ovvero la distanza oltre la quale la
temperatura è talmente bassa da far solidificare anche composti volatili come
metano e ammoniaca.
Il team nipponico ritiene
comunque che quanto più un blanet è
lontano dal buco nero, tanto più dovrebbe crescere. Secondo i calcoli, a circa
13 anni luce di distanza dal black hole
questi corpi celesti potrebbero
raggiungere dimensioni variabili tra
20 e 3.000 masse terrestri.
Intanto c’è la notte di San Lorenzo
I blanets non sono
le uniche possibili bizzarrie provenienti dalle profondità del cosmo. La
congerie di questi teorici abitanti comprende
anche le moonmoons (lune di lune); e i ploonets (pianeti nati
come lune di grandi esopianeti e poi “andati via di casa”).
Si tratta però, come detto, di oggetti che al momento sono
puramente immaginari. Meglio allora volgere gli occhi verso il firmamento e
godersi uno spettacolo reale come il
pianto di stelle cantato da Pascoli.
Uno spettacolo che si rinnova ogni anno, sempre antico e sempre nuovo, senza
cessare di affascinare quanti aspettano col naso all’insù, e un desiderio nel cuore.
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