Papa Benedetto XVI è tornato alla Casa del Padre. L’anziano Vicario di Cristo aveva 95 anni ed era da tempo malato, ma le sue condizioni di salute si erano aggravate negli ultimi giorni. Si è spento serenamente in Vaticano, presso il monastero Mater Ecclesiae, dove si era ritirato in seguito alla celeberrima Declaratio del febbraio 2013. Una data spartiacque, forse, per l’intera Storia della Chiesa.
Papa Benedetto XVI è tornato alla Casa del Padre
Le porte del Cielo si sono aperte per accogliere Papa Benedetto XVI. Il “cooperatore della verità” ha abbracciato la Verità assoluta, un incontro al quale lui stesso aveva confidato di prepararsi da tempo.
Era un gigante della fede, il più grande teologo dell’era contemporanea. Eppure, subito dopo l’elezione al soglio pontificio, il 19 aprile 2005, si era presentato ai fedeli come «semplice ed umile lavoratore nella vigna del Signore».
Stava raccogliendo la difficile eredità di San Giovanni Paolo II, di cui era stato Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (l’ex Sant’Uffizio). E aveva già delineato, nella Missa pro eligendo Romano Pontifice, alcuni dei tratti distintivi del suo Governo ecclesiastico, come la ferma opposizione alla «dittatura del relativismo».
Eppure, il suo Pontificato rimarrà segnato indelebilmente dalla Declaratio che, da circa un decennio, viene comunemente considerata un annuncio di dimissioni. Ma che nel momento in cui viene interpretata come tale, come hanno dimostrato autorevoli giuristi, risulta giuridicamente e canonicamente nulla.
Papa Benedetto XVI e la sede impedita
Nel suo storico documento, infatti, Joseph Ratzinger affermava di rinunciare al ministerium di Vescovo di Roma, vale a dire all’esercizio pratico del potere papale. Tuttavia, secondo il Canone 332 §2 del Codice di Diritto Canonico vaticano, un Papa abdicatario deve lasciare il titolo divino di Pontefice, ovvero il munus.
Ciò che invece sembrerebbe coerentemente prodotto dall’atto di Benedetto XVI è uno status ben diverso, previsto da un’altra norma, il Canone 412. Si tratta della (Santa) Sede impedita, come ha proposto il collega Andrea Cionci, principale autore dell’inchiesta sulla Magna Quaestio. Nonché scopritore del cosiddetto “Codice Ratzinger”, l’arguto ed enigmatico modus communicandi adottato da Papa Ratzinger nel suo autoesilio, che ha dato il nome all’omonimo bestseller.
Secondo il collaboratore di Libero, infatti, la separazione dell’ufficio papale in due enti, che risale al 1983, costituisce un piano anti-usurpazione mutuato dal diritto dinastico tedesco. A cui Sua Santità ha fatto ricorso per difendersi dall’aggressione modernista orchestrata dalla Mafia di San Gallo, come da rivelazioni (mai smentite) dell’ormai defunto Cardinal Godfried Danneels.
Conseguenze dirompenti per la Chiesa
Va da sé che, se l’intuizione di Cionci fosse corretta, le conseguenze per la Chiesa sarebbero dirompenti. Significherebbe infatti che, fino a oggi, l’unico Pontefice regnante era proprio Benedetto XVI. Il che, en passant, riporta inevitabilmente alla mente un passo del libro-intervista di Peter Seewald Ultime conversazioni. In cui il 265° Successore di San Pietro ammise l’eventualità di essere l’ultimo Papa «come l’abbiamo conosciuto finora», quale è designato nella cosiddetta profezia di Malachia.
Il Conclave del marzo 2013 risulterebbe dunque invalido, e dovrebbe esserne convocato uno nuovo – ma dai soli porporati di nomina ratzingerian-wojtyliana, onde ripristinare una linea successoria legittima. La sede impedita avrebbe così permesso di «separare i credenti dai miscredenti», un obiettivo che lo stesso Papa Benedetto aveva indicato all’Herder Korrespondenz.
Sarebbe l’ultimo, clamoroso lascito del Pontefice nel quale molti hanno visto la personificazione del katéchon preconizzato da San Paolo nella Seconda lettera ai Tessalonicesi. Il “trattenitore” del Male che sempre cerca di dilagare nel mondo. Un mondo che, da qualche ora, è infinitamente più povero.
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