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Fondi Ue, Conte si autoincensa e irrita la sua stessa maggioranza

Informativa del Premier in Parlamento sugli esiti del Consiglio Europeo straordinario e in vista del varo dell'ennesima task force. Ma il suo eccesso di protagonismo indispettisce gli alleati, e partono già i primi distinguo

Incassati, almeno sulla carta, i 209 miliardi di fondi Ue, per il bi-Premier Giuseppe Conte è scattata un’ulteriore sfida, verosimilmente inaspettata ancorché non altrettanto capitale. Scenario privilegiato sono stati i due rami del Parlamento, in cui il Capo del Governo ha illustrato gli esiti del Consiglio Europeo straordinario. Sui quali ha incassato un plauso trasversale, ma anche i primi distinguo. Che, inopinatamente, sono piovuti anche dalla sua stessa maggioranza.

Fondi Ue, l’informativa di Conte

È probabile che, per il suo ritorno da Bruxelles, il Presidente del Consiglio avesse in mente una sorta di autocelebrazione. Dopotutto, veniva da quattro giorni di negoziati durissimi, che hanno portato a un accordo tutto sommato abbastanza soddisfacente.

«Il risultato positivo però non appartiene a chi vi parla, e nemmeno alle forze di Governo. Appartiene all’Italia intera» ha dichiarato l’ex Avvocato del popolo durante la prima parte della sua informativa, in Senato.

Un discorso in cui il Primo Ministro ha toccato vari punti, a partire proprio dai termini dell’intesa raggiunta dai Ventisette. «L’Italia riceverà 209 miliardi di euro, di cui 82 miliardi di grants. Si tratta del 28% degli aiuti complessivi del pacchetto Next Generation Ue. L’emissione di titoli europei si fermerà nel 2026 e comincerà la restituzione».

Giuseppi ha inoltre insistito sul rispetto della linea rossa tracciata da Roma. «Il meccanismo di governance preserva le prerogative della Commissione Ue. I piani saranno approvati dal Consiglio a maggioranza qualificata ma singoli esborsi saranno decisi dalla Commissione Ue. Anche il freno di emergenza avrà una durata massima di tre mesi e non potrà prevedere un diritto di veto».

Su quest’ultima questione, molto cara al suo frugale omologo olandese Mark Rutte, il Signor Frattanto ha forse mostrato un eccesso di ottimismo. Il meccanismo, infatti, è abbastanza complicato e potrebbe causare dei rallentamenti nell’erogazione dei fondi. Tuttavia, sarebbe anche potuto essere ben peggiore, perciò il compromesso alla fine è accettabile.

Un altro aspetto affrontato dal BisConte è stato poi il Piano per la ripresa, o Recovery Plan. Che «sarà un lavoro collettivo, ci confronteremo con il Parlamento», ha assicurato. Proprio questo punto, però, si è di fatto trasformato in una vera prova del fuoco. Un fuoco, paradossalmente, anche amico.

Il fuoco amico

«Invece di una task force ci regali un dibattito parlamentare, qui in aula ad agosto, per confrontarci su come spendere questi soldi». Così il leader di Iv Matteo Renzi ha bacchettato a Palazzo Madama l’inquilino di Palazzo Chigi. Casus belli, l’intenzione, già preannunciata, di creare un pool di esperti a cui spetterà la gestione dei fondi Ue. Una cabina di regia che dovrebbe essere presieduta dallo stesso Conte.

Di qui l’irritazione di almeno parte degli azionisti di maggioranza dell’esecutivo rosso-giallo. Non solo Italia Viva, ma anche i grillini, con il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio che vorrebbe un gruppo di lavoro che coinvolga tutti i dicasteri. Non è però un mistero che il Premier si senta molto rafforzato dopo il Consiglio Ue, e difficilmente rinuncerà ad avere l’ultima parola. E proprio tale protagonismo, stando ai rumours, ha ulteriormente indispettito gli alleati.

«Ormai si sente Napoleone» pare abbiano affermato sottobanco alcuni esponenti sia del Pd che del M5S. «Già era ambizioso e pieno di sé prima, figuriamoci ora che lo raccontano come un eroe…»

Piuttosto ingeneroso, almeno nel caso specifico, non foss’altro perché non solo di autonarrazione si tratta, come dimostrano le standing ovation tributate da entrambe le Camere. Non sufficienti, però, a stare sereni, se non nell’ormai mitologico senso del fu Rottamatore. Che infatti non ha risparmiato al Signor Frattanto altre frecciate, soprattutto sullo spauracchio Mes.

«Rifletta bene, Presidente» l’affondo del senatore fiorentino, «sono prestiti più favorevoli e con meno condizionalità del Recovery Fund».

Nulla, infatti, è gratis, e d’altronde la saggezza popolare insegna che l’erba voglio non cresce neanche nel giardino del re. Anche se, come ha puntualizzato Giuseppi citando l’ex presidente della Commissione Europea Jacques Delors, c’è almeno il fiore della speranza nel giardino dell’Ue.

Fondi Ue, le critiche dell’opposizione

Decisamente più scontate erano le critiche dell’opposizione, e infatti il segretario leghista Matteo Salvini ha seguito pedissequamente il copione. «È strano un prestito che ti viene concesso dicendoti cosa puoi o non puoi fare con quei soldi» ha attaccato. Aggiungendo che, se nell’accordo «c’è qualcosa di buono per l’Italia siamo tutti contenti, ma se c’è lo valuteremo nei prossimi mesi». E chiudendo con una provocazione: l’invito – in realtà impraticabile – a usare i finanziamenti del Recovery Fund per tagliare le tasse.

Non stupiscono più di tanto neppure i rilievi del battitore libero Carlo Calenda, leader di Azione. Il quale ha impietosamente fatto notare che l’Italia dovrà contribuire al Bilancio pluriennale dell’Unione Europea per un ammontare da lui stimato in circa 55 miliardi. Il che significa che, all’interno dei fondi Ue, l’entità reale dei sussidi non sarà pari a 81,4 miliardi, ma scenderà a circa 26.

L’eurodeputato ha naturalmente ragione sul piano matematico ma, a maggior ragione, andrebbe elogiata l’insistenza del Premier. Grazie alla quale è rimasto quasi inalterato il volume delle sovvenzioni rispetto alla proposta originaria della presidente della Commissione Europea, la tedesca Ursula von der Leyen.

Senza contare che, da questo punto di vista, i Quattro Frugali ci hanno involontariamente fatto un favore. L’esborso infatti si misura sulla totalità dei finanziamenti a fondo perduto e sul peso delle singole economie (la nostra vale il 13,5% della Ue). Perciò, nel momento in cui i rigoristi nordici hanno ottenuto il ridimensionamento dei trasferimenti diretti, hanno anche automaticamente abbassato la quota italiana.

Storia e destino

«La Ue ha mutato prospettiva, è una svolta storica» ha sottolineato l’ex Avvocato del popolo in apertura del suo intervento al Senato. Probabilmente ha esagerato con l’enfasi, ma è pur vero che è lo stile a cui il Nostro ci ha ormai abituati. Così come è vero che, da settimane, il Presidente del Consiglio scomodava la Storia per accentuare l’importanza – in ogni caso indiscutibile – del summit belga.

Curiosamente, comunque, si potrebbe dire che le stelle si sono in qualche modo allineate per l’occasione, coinvolgendo come co-protagonista d’eccezione il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il quale, la sera stessa dell’accordo, lo stesso giorno in cui ha espresso a Giuseppi «apprezzamento e soddisfazione», si è recato all’Auditorium Parco della Musica. Qui ha assistito all’esecuzione della Quinta Sinfonia di Ludwig van Beethoven, il cui racconto musicale ha come tema centrale il destino. Tanto è vero che le prime, inconfondibili quattro note rappresentano, secondo le parole dello stesso genio teutonico, “il destino che bussa alla porta”.

Come in questi giorni di trattative cruciali per il futuro dell’Europa. Se non è un segno del destino questo!