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Cronaca

La storia infinita dell’Ilva e Tamburi, il quartiere di Taranto dove nulla è a norma

“Il solo affare che funziona regolarmente a Tamburi, è quello dei becchini e delle agenzie funebri”

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Sul tacco dello stivale, nelle Puglie, sorge Tamburi, un quartiere di Taranto di circa 18.000 abitanti. Tamburi perché anticamente col tamburo si raccoglieva l’acqua da un acquedotto adiacente unica fonte di approvvigionamento locale. A quei tempi l’area assomigliava a un paradiso ecologico, nel tempo si è trasformata in un sito infernale, dove l’uomo senza scrupoli ha insediato la necessità impellente del lavoro e con questo, annessi e connessi di potersi ammalare.

A Tamburi il cielo è azzurro ma l’altiforno più grande d’Europa lo riveste di nubi nere provenienti dall’Ilva, l’acciaieria inaugurata nel 1965, sorta dall’Italsider, e oggi – dopo gli scandali legati alla famiglia Riva che nel 1995 l’acquisì dallo Stato – resta ancora parzialmente sotto sequestro per disastro ambientale.

Produzione siderurgica e risultati record, non solo per i manufatti diretti al settore automobilistico, del trasporto o degli elettrodomestici, ma anche per il numero delle anomalie dei bambini nati e della popolazione che se n’è andata a causa delle polvere sottili cancerogene e con la complicità e il lassismo bi-partisan di certa politica. Nulla o quasi è stato fatto negli anni per risanare a fondo quei forni.

Negli ultimi mesi, davanti alle solite promesse mancate, in vari confronti con le istituzioni, le associazioni di Tamburi hanno svergognato gli altisonanti ma improponibili propositi dei vari Ministeri di ridurre le emissioni mortali grazie a tecnologie mai effettivamente installate a Tamburi. Percentuali senza alcuna base di fondamenta. Come le suggestioni romantiche di sbaraccare e creare un polo turistico. Fandonie senza senso.

Tra cinismo ed esigenze di mandare avanti la baracca, le fasi di lavorazione dell’acciaio all’Ilva come in ogni impianto simile, sono organizzate scientificamente, scrupolosamente: dall’arrivo dei container di minerali, ferro e carbone al porto di Taranto. I materiali vengono riscaldati e una volta pronti per gli altoforni sono destinati alla miscelazione e poi alla combustione. Dalla conversione del coke in ghisa, l’affinazione avviene tramite colate continue, l’acciaio liquido prodotto in forno è trasformato in lavorati pronti a diversi usi. Il ciclo di lavorazione siderurgica a Tamburi è integrale, dal grezzo al finito, come le fasi di sviluppo di una malattia: dalla diossina che fuoriesce dagli impianti e che s’insinua nei tessuti umani, attraverso muscoli, nervi e vasi sanguigni, sino allo sviluppo finale di un tumore.

Qualcuno ha definito tutto questo razzismo ambientale, mascherato da terrorismo ambientale.

Una madre di Tamburi, una delle tante che piange e che abbiamo ascoltato in silenzio, rabbia e mai rassegnazione, ci ha raccontato come a Tamburi non ci sia nulla a norma, nemmeno le collinette artificiali costruite come ecologiche per sbarrare i fumi di diossina che fuoriescono dall’inceneritore e si depositano come veleno sulla pelle e nei polmoni degli abitanti. Sottovoce si racconta che le collinette, persino quelle, potrebbero nascondere altri detriti, rifiuti, scarti interrati.

Le leggi dell’economia smuovono il mondo, lo fanno impennare, balzare e crollare come le curve delle borse: così pure i milioni di tonnellate di acciaio prodotte ogni anno a Tamburi, contribuiscono ad innalzare grattacieli, far correre le nostre auto, far girare i cestelli delle nostre lavatrici o moltiplicare i binari dei nostri treni.

Fino a quale destinazione finale?

Dai conti – risulta che arrestare gli impianti di produzione all’Ilva di Taranto potrebbe arrivare a costare lo 0,15% del PIL Italiano, fino al 0,165%, considerando anche l’impatto sul resto dell’industria. Sapete, i giochi dell’indotto… Se nel 2018 il referendum dei lavoratori ha mantenuto lo stabilimento in funzione – sono di questi giorni i risultati dello Studio Sentieri, promosso dall’Istituto Superiore di Sanità: i dati da brivido sulle malformazioni dei nati a Taranto continuano a fare polemica. I numeri fanno comodo solo a volte…

E’ chiaro che in certe parti del mondo, come a Taranto – per i bambini che fanno i turni a scuola, come per gli operai nelle fabbriche, i diritti costituzionali sono carta straccia: non esiste il diritto di vivere senza il rischio di ammalarsi e morire. Il solo affare che funziona regolarmente a Tamburi – spiffera un ragazzo che si è rifiutato di prendere il posto del padre nell’impianto e vive con 300 Euro al mese lavorando in un call center – è quello dei becchini e delle agenzie funebri che lavorano a meraviglia e non sentono puzza di crisi.

Svegliamoci. E’ tempo di iniziare a respirare di nuovo.

 

Francesco Di Pisa