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Cronaca

Casi di ordinaria follia, in attesa della riforma della Giustiza

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In una notte di settembre del 2017, a Piazza Venezia in Roma, a seguito di un’animata discussione con il suo aggressore, un clochard conosciuto come Il Principe per i suoi modi gentili, venne assalito, scaraventato a terra, preso a calci in testa e lasciato in fin di vita sull’asfalto; se non fosse stato subito soccorso da alcuni passanti, sarebbe probabilmente finito in una delle tante buche confuse nel traffico della nostra città e riciclato tra i rifiuti; trasportato immediatamente al pronto soccorso, 24 ore appena dopo esser stato dimesso, l’uomo venne riportato con urgenza in ospedale – ma – di lì a poco – cure approssimative o destino macabro chissà, morì comunque per emorragia cerebrale.

Rintracciato, giudicato e dapprima condannato a sei anni e otto mesi, scriviamo in lettere per far sembrare la pena più lunga, poi, grazie al patteggiamento (istituto spesso considerato quanto meno discutibile nella sua gamma di applicazione processuale), l’aggressore infine si è visto ridurre la pena a cinque anni col riconoscimento dell’attenuante della provocazione.

Per il computo della sanzione da comminare nei confronti del reo, qualunque essa sia, la legge impone al giudice modalità e misure sul calcolo ben precise, che non lasciano spazio alla fantasia. Accantonate pure tutte le sterili polemiche interpretative sulle norme e sull’opportunità – l’equità e quant’altro sul mero computo aritmetico – il punto non è questo.

Se la vita di un uomo vale cinque anni per un patteggiamento a seguito di un omicidio preterintenzionale, il potere giudiziario sembrerebbe alquanto generoso in certi casi, e addirittura più magnanimo della sorte segnata dagli stessi eventi reali, tale da considerare talvolta la giustizia umana come un concetto prettamente relativo. Così sia.

Se infatti al povero clochard la ricaduta dopo il primo ricovero è risultata fatale, come un appello finito male, al reo il secondo round ha portato ad uno stralcio sostanziale del castigo.

Le conclusioni raggiunte ci conducono in un amaro vicolo cieco – ma vanno comunque inesorabilmente accettate, pena il crollo di quel castello sul quale oggi siamo arroccati a vivere e dove domani potremmo venire ad esser giudicati. Fate girare i dadi.

 

Francesco Di Pisa