In un’Italia che, soprattutto dal punto di vista
dell’economia, fatica enormemente a riprendersi dal coronavirus, la
certezza è che riparte il campionato di calcio. È ormai (semi)ufficiale,
almeno per quanto riguarda le Serie A e B. Le quali si avviano quindi
sempre più speditamente verso il secondo (e si spera ultimo) debutto
stagionale, previsto per il 20 giugno – Coppe escluse. Tra (alcune) luci
e (sempre troppe) ombre e incognite.
Riparte il campionato di calcio
Il Consiglio Federale della Figc non ha riservato
grosse sorprese, malgrado il tentativo della Lega Serie A di cambiare
all’ultimo le regole del gioco. In caso di stop definitivo, infatti, i
rappresentanti del massimo torneo avevano suggerito il blocco delle
retrocessioni, con effetti a cascata sulle serie inferiori. Le quali
avevano da subito manifestato la propria contrarietà alla proposta, che è stata
sonoramente bocciata con il solo voto favorevole dei diretti
interessati.
È passata invece a stragrande maggioranza la delibera di Gabriele
Gravina, presidente della Federcalcio, volta
a «chiudere i campionati regolarmente, privilegiando il merito sportivo».
Auspicio del tutto condivisibile, vedremo quanto praticabile.
Intanto è sicuramente una buona notizia che si siano
delineati i possibili scenari prima del riavvio, disinnescando così
subito la minaccia di eventuali ricorsi. Che, al termine di una stagione
tanto travagliata, suonerebbero come minimo di pessimo gusto.
Lo scenario principale è naturalmente quello in cui l’annata
si conclude senza altri problemi (cioè, senza nuovi contagiati) entro il
prossimo 20 agosto. Pare più che altro un’utopia. Per questo motivo sono stati
ratificati anche i cosiddetti piani B e C.
I piani B e C
Il primo
consiste nella disputa di «brevi play-off e play-out», il cui formato
dovrà essere definito dallo stesso Consiglio Federale – possibilmente prima
della ripartenza. Secondo i
beninformati, l’eventuale formula per l’assegnazione dello Scudetto
coinvolgerebbe quattro o sei squadre.
Se però la stagione dovesse essere interrotta
definitivamente, entrerebbe in scena il
famigerato algoritmo di cui tanto si è parlato in questi giorni.
Un’espressione matematica che, oltre alla classifica corrente, terrà in
considerazione i punti ottenuti in casa e in trasferta, “pesandoli” per
il numero di gare disputate.
In questa eventualità, però, non sarebbe assegnato il titolo
di Campione d’Italia, che al momento vede in lizza Juventus, Lazio
e (più staccata) l’Inter. A detrimento personale del presidente
biancoceleste Claudio Lotito, soprattutto in vista dell’eventuale corsa
al Campidoglio su cui insistono alcuni
rumours. Corsa che, en passant, per il centrodestra,
che lo candiderebbe, sarebbe l’ennesimo autogol “Capitale”, considerato
che la stragrande maggioranza dei cittadini dell’Urbe tifa Roma. Ma non
divaghiamo.
Tornando al criterio sopracitato, precisiamo che l’attuale graduatoria
non
varierebbe più di tanto. Il principale scossone riguarderebbe il Milan,
che perderebbe due posizioni a vantaggio di Verona e Parma, ma sarebbe più che
altro una questione di prestigio. Le zone davvero calde, infatti,
rimarrebbero invariate tanto ai piani alti che a quelli meno nobili.
Che poi questo schema sia davvero meritocratico è
ancora tutto da stabilire.
Il campionato di calcio e le serie “inferiori”
L’algoritmo, per dire, è già stato usato per cristallizzare le
classifiche delle cosiddette “serie inferiori”, per cui si è accertata
l’impossibilità di proseguire il torneo. In Serie
C hanno quindi potuto festeggiare la promozione tra i cadetti i
tre team che, prima della sospensione, erano in testa ai rispettivi gironi.
Vale a dire il Monza di Silvio Berlusconi e Adriano Galliani, il Vicenza
e la Reggina – tutte con un buon vantaggio sulle inseguitrici.
Farà loro compagnia la vincitrice dei mega play-off a 28
che dovrebbero partire il 1° luglio. Se poi gli spareggi non si potessero
disputare, verrebbe
premiata «la migliore classificata dei tre gironi secondo la classifica»
corretta – cioè la Reggio Audace.
Gli altri verdetti riguardano il fondo della
graduatoria. Qui il Consiglio Federale ha decretato che le società piazzate
agli ultimi posti in ciascun girone retrocedano direttamente in Serie D.
Ad accompagnare Gozzano, Rimini e Rieti saranno le formazioni che
usciranno sconfitte dai classici play-out.
Lo scrivente tifa spudoratamente per i biancorossi
romagnoli, perciò si può facilmente arguire cosa pensi di tale deliberazione.
Maturata con la compagine a pari punti con il Fano, lo scontro diretto
ancora da giocare (in casa) e dieci partite in tutto da disputare. Oltre allo
stesso identico numero di gol fatti e subiti.
I tre club succitati (e non solo) hanno già preannunciato il
ricorso – stavolta sacrosanto. Perché è semplicemente vergognoso che si
penalizzino d’ufficio delle squadre che non hanno ancora ricevuto il giudizio
del campo – e senza regole condivise. Alla faccia del tanto decantato
merito sportivo.
Per dovere di cronaca, segnaliamo poi che è stata sancita
anche la conclusione anticipata dei campionati dilettantistici. Vale a
dire Serie D, calcio a 5 e calcio femminile.
L’Italia nel pallone
Fin qui la cronaca degli eventi che stanno portando al
riavvio del campionato di calcio. Un’industria che – è bene ricordarlo – è una
delle principali del Paese, con un
fatturato pari a 4,7 miliardi di euro nel 2018.
Unendo questo dato alla passione che da sempre lo sport suscita, se ne può facilmente comprendere l’importanza anche fuori dal dibattito da bar. Non foss’altro perché, come affermava il poeta latino Giovenale, a livello sociale contano parecchio panem et circenses. Eppure, incidenza sul Pil a parte, è difficile non notare la differenza di trattamento – anche mediatico – con altre istanze.
Per dire, era proprio necessario spingere così forte sul
calcio quando le scuole sono chiuse da mesi e non si sa se riapriranno
nemmeno a settembre? Quando le famiglie – cellule fondamentali della
società – sono state lasciate a se stesse, prive di qualsivoglia supporto, per
l’intera durata del lockdown? Quando ci sono imprenditori
che non riescono a riaprire le proprie imprese, o settori vitali come il turismo
che sperano al massimo di contenere le perdite?
Ecco, sommessamente ci permetteremmo di chiedere: non è
questo il sintomo più evidente di un Paese costantemente nel pallone?
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