L’11 febbraio 2013 è una data che resterà per sempre nella
Storia come il giorno delle “dimissioni” di Papa Benedetto XVI. Un atto
su cui si è detto e scritto molto, e che certamente rimarrà impresso nella
memoria collettiva per la sua gravità ed eccezionalità.
Ma se Papa Ratzinger avesse nascosto nella famosa Declaratio
la prova che la sua rinuncia è nulla? È ciò che pensa Frà Alexis
Bugnolo, francescano italo-americano ed esperto latinista, che ha studiato
e analizzato il testo dell’abdicazione. E ritiene
che il Pontefice tedesco abbia vergato la Dichiarazione «con
estrema abilità e sottigliezza, appositamente perché nel tempo venisse
scoperta invalida».
Gli errori nella Declaratio di Benedetto XVI
La tesi del frate si fonda sui noti errori grammaticali
della Declaratio
di Benedetto XVI. Alcuni dei quali erano stati notati quasi subito da eminenti classicisti
come Luciano
Canfora e Wilfried
Stroh, e corretti anche sul sito
ufficiale vaticano.
Frà Bugnolo ne
ha individuati molti altri, che per la maggior parte sono, in realtà,
relativamente poco significativi. Tra l’altro, vi sono scelte lessicali
discutibili, complementi costruiti in maniera imperfetta, ma anche il mancato
uso del plurale maiestatis.
Si tratta, evidentemente, di “peccati veniali”, che però è
difficile credere provengano dalla mano di una persona della cultura di Joseph
Ratzinger. O, se anche fosse, che non siano stati emendati da alcun
funzionario pontificio nei 17 giorni trascorsi prima che Sua Santità lasciasse
la Sede Apostolica. Mentre è semplicemente ridicola, visti i lavori
successivi, l’idea che il Vescovo di Roma non fosse mentalmente lucido.
La questione davvero dirimente, però, è un’altra. Secondo il
francescano, infatti, vi sono nel documento dei “difetti” tali da inficiarne
la validità. Ça va sans dire, se fosse nel giusto le conseguenze
sarebbero dirompenti.
L’enunciato incriminato
«Quapropter bene conscius ponderis huius actus plena
libertate declaro me ministerio Episcopi Romae, Successoris Sancti Petri, mihi
per manus Cardinalium die 19 aprilis MMV commisso renuntiare ita ut a die 28
februarii MMXIII, hora 20, sedes Romae, sedes Sancti Petri vacet et Conclave ad
eligendum novum Summum Pontificem ab his quibus competit convocandum esse».
Questo è l’enunciato
incriminato, di cui riportiamo di seguito la
traduzione ufficiale in italiano.
«Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto,
con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma,
Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile
2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20,00, la sede di Roma, la
sede di San Pietro, sarà vacante e dovrà essere convocato, da coloro a
cui compete, il Conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice».
Benedetto XVI: munus e ministerium
C’è una parola chiave su tutte: munus, ovvero
l’ufficio, la “carica” che deriva direttamente da Dio e da San Pietro.
Il Diritto Canonico(canone 332 §2) impone a un Romano Pontefice che intenda abdicare di
rinunciare proprio al munus, attraverso una decisione libera e
debitamente manifestata.
Papa Ratzinger, però, non ne ha fatto cenno. Ciò a cui ha
dichiarato di rinunciare è infatti il ministerium, l’esercizio
attivo del potere papale, come avrebbe
ribadito durante la sua ultima udienza generale. «Il “sempre” è
anche un “per sempre”- non c’è più un ritornare nel
privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del
ministero non revoca questo».
Come ha
argomentato il collega Andrea Cionci, sarebbe come se la Regina Elisabetta
II d’Inghilterra annunciasse l’intenzione di lasciare il trono al Principe
Carlo. Salvo poi stilare un atto in cui dichiara di rinunciare a esercitare
il potere materiale, ma di voler mantenere la Corona. Proprio come
Benedetto XVI ancora
indossa la talare bianca, impartisce la benedizione apostolica e conserva
l’appellativo di Sua Santità e la firma P.P. (Pontifex Pontificum).
Un’altra anomalia riguarda la formula usata dal Vicario
di Cristo: «Dichiaro di rinunciare» – non “rinuncio”. Sembra una
distinzione di poco conto, ma potrebbe avere delle forti ripercussioni. Con
questa dizione, infatti, Joseph Ratzinger non ha liberamente rinunciato al
Papato (come prevede il succitato articolo del Canone), bensì ha liberamente
dichiarato di rinunciarvi.
Sono due cose ben diverse. Per averne una prova inconfutabile,
provate a dire al vostro partner, anziché il classico ti amo, “dichiaro
di amarti”, e vedete come reagirà.
Le altre incongruenze della Declaratio
Un’altra sottigliezza riguarda la frase tradotta come
segue: «in modo che […] la sede di San Pietro sarà vacante e dovrà essere
convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l’elezione del nuovo Sommo
Pontefice».
Frà Bugnolo ha fatto notare che nella traduzione vi sono varie
incongruenze, a partire dal modo in cui la proposizione viene introdotta.
“In modo che”, infatti, renderebbe
il latino quomodo, o un’espressione come in tali modo quod. Nella
Declaratio, però, la frase è introdotta da ita ut, che significa
“cosicché”.
Anche qui è una questione di sfumature. Tutte le
locuzioni, infatti, introducono una proposizione consecutiva. Ma, a differenza
delle altre, ita ut richiede necessariamente il congiuntivo, che
è un modo che esprime per sua natura incertezza.
Dire, per esempio, “vado all’università cosicché troverò
lavoro” è diverso dal dire “vado all’università cosicché trovi lavoro”. Il
primo caso, infatti, implica un rapporto causa-effetto granitico – ed è
l’unico in cui si potrebbe legittimamente usare anche “in modo che”. La seconda
dizione, invece, indica piuttosto una sorta di speranza.
Con questo criterio, quando Papa Ratzinger scrive «ita ut
[…] sedes Sancti Petri vacet» bisognerebbe tradurre “cosicché la
sede di San Pietro sia vacante”. Un’espressione che non sottintende una
certezza, bensì, al massimo, un’intenzione – e varrebbe la pena
chiedersi di chi.
La traduzione italiana della Declaratio farebbe poi
pensare che vi siano due proposizioni consecutive coordinate. In realtà, la
frase che inizia con «dovrà essere convocato» è un’oggettiva, che
dipende dal verbo declaro e si lega al precedente renuntiare.
Per capirne le implicazioni, rileggiamo l’enunciato
escludendo la consecutiva retta proprio da renuntiare, e adattando la
traduzione. «Dichiaro che rinuncio al ministero di Vescovo di Roma e che
dev’essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l’elezione del
nuovo Sommo Pontefice».
Benedetto XVI e il nuovo Conclave
Ecco la sottigliezza: con questa formulazione, Benedetto XVI
non ha indicato la data precisa del nuovo Conclave. La subordinata in
cui si fa riferimento al 28 febbraio 2013, infatti, non altera minimamente il
significato delle proposizioni di livello superiore.
Certo, si potrebbe obiettare che sia un’inferenza logica.
Ma, allo stesso modo, sarebbe legittimo ritenere che il collegio
cardinalizio debba riunirsi, com’è sempre accaduto, dopo il decesso del
Pontefice regnante. Semanticamente, le due soluzioni appaiono
equiprobabili.
Peraltro, Joseph Ratzinger ha scritto che il Conclave debba
essere convocato «da coloro a cui compete». Una perifrasi piuttosto singolare
per indicare i porporati elettori, tanto più che il Santo Padre stava
leggendo la Dichiarazione di fronte a loro.
Cionci però fa
notare che questa anomalia si sanerebbe se fosse vera la ricostruzione di
Frà Bugnolo circa l’invalidità della rinuncia di Benedetto XVI. In tal caso,
infatti, l’elezione del nuovo Pontefice non competerebbe all’intero collegio
cardinalizio, ma solo ai porporati nominati da Papa Ratzinger e dai suoi
predecessori.
Qui, però, siamo nel campo delle ipotesi. Che possono
essere vere o false, verosimili o assurde, ma restano sempre suggestioni.
Per questo lascia perplessi il fatto che qualcuno le abbia
già liquidate come follie da imbecilli. E fa ancora più specie
che questo
qualcuno fosse il quotidiano della Cei che, assieme al cugino
d’Oltretevere, dovrebbe essere il più interessato alla verità. La quale,
sia ben chiaro, non è necessariamente quella raccontata dal frate
italo-americano. A cui però bisognerebbe opporre delle controargomentazioni,
non certo degli insulti.
Pare però che la misericordia degli immisericordiosi
non sia per tutti, un po’ come l’intolleranza dei tolleranti, che guarda
caso ha la stessa matrice ideologica. Misericordiosamente,
soprassediamo.
Le ipotesi sulle motivazioni
Per comprendere le possibili motivazioni alla base del gesto di Benedetto XVI, bisogna ritornare al gennaio 2013 e al noto ricatto della rete SWIFT. Un consorzio bancario internazionale che, nei giorni che precedettero l’abdicazione di Sua Santità, paralizzò i bancomat e i conti correnti della Santa Sede. Salvo sbloccarli casualmente il giorno dopo le dimissioni del Sommo Pontefice.
A questo potrebbe riferirsi l’inusuale formula discussa
precedentemente: «con piena libertà, dichiaro di rinunciare». Papa Ratzinger,
cioè, potrebbe essere stato posto di fronte a una scelta drammatica tra le
dimissioni o la bancarotta del Vaticano. E potrebbe aver liberamente scelto
di dichiarare di rinunciare al ministero petrino che, come argomentato,
è diverso dal “liberamente scegliere di rinunciare”.
Al contempo, è ormai risaputo che il Papa tedesco stava
subendo pressioni da parte della lobby progressista e modernista conosciuta
come Mafia di San Gallo. Che, come rivelato da uno dei membri principali,
il defunto cardinale Godfried
Danneels, tramava contro Joseph Ratzinger già prima della sua elezione
al Soglio pontificio.
Intuendo l’enorme pericolo per la Chiesa, il
Successore di Pietro avrebbe quindi optato per la soluzione di una rinuncia solo
apparentemente valida. Che avrebbe
permesso di spazzare via eventuali “svolte” dottrinali eterodirette
dal gruppo dei cospiratori.
Preghiere per Benedetto XVI
Come detto, però, si tratta di opinioni, le quali per loro
natura sono assai sfuggenti. Per dire, in questi giorni Benedetto XVI si è recato
a Ratisbona per assistere il fratello, il 96enne monsignor Georg
Ratzinger, da tempo malato.
E subito erano partite le
speculazioni sulla possibilità che il Papa tedesco restasse in Germania
e non facesse più ritorno in Italia. Un’eventualità
smentita dalla Diocesi bavarese, che ha precisato che il volo di ritorno da
Monaco è previsto nella mattinata di lunedì 22 giugno. È la democrazia,
bellezza!
L’unica certezza è che, forse mai come in questo momento,
Benedetto XVI ha bisogno delle preghiere dei fedeli. Che certamente non
mancheranno di assicurargli il proprio filiale sostegno, perché Papa Ratzinger
resta un Pontefice amatissimo dal popolo cristiano.
A dispetto di tutte le menzogne e le calunnie con cui
inutilmente una certa riprovevole narrazione tenta di infangarlo. Ma, «per
quanto il vento ululi forte, una montagna non può inchinarsi ad esso».
E se c’è una verità incontrovertibile è che il fango
proviene da ominicchi. In confronto ai quali il minuto Benedetto XVI torreggia
con la statura di un gigante.
Pingback: Benedetto XVI, nella Declaratio è nascosta l’invalidità della sua rinuncia? | Organon