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Alzheimer, nel DNA di una donna colombiana una variante genetica che contrasta la malattia

Un team di Boston scopre un gene mutato che ha rallentato l’insorgenza dei sintomi per trent’anni. E in Cina viene commercializzato un nuovo farmaco

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Le cellule nervose e le placche tipiche della malattia di Alzheimer (fonte: National Institute on Aging, NIH, Flickr)

Potrebbe essere una scoperta importantissima quella appena annunciata da un team di ricercatori del Massachusetts General Hospital di Boston attraverso un articolo pubblicato su Nature. Sembra infatti che sia stata individuata una mutazione genetica in grado di offrire una protezione contro il morbo di Alzheimer.

La variante fortunata si chiama APOE3ch, ed è stata isolata nel DNA di una 70enne colombiana che faceva parte di un gruppo di 6.000 connazionali ad alto rischio di sviluppo precoce della patologia: nella terra dedicata a Cristoforo Colombo, infatti, è molto comune una particolare alterazione ereditaria che porta all’insorgenza dei primi sintomi già intorno ai 40 anni. La donna in questione, però, pur avendo tale predisposizione, non ha manifestato alcun sintomo per ben un trentennio.

Gli specialisti americani hanno perciò intuito l’esistenza di un qualche fattore di protezione, che è stato identificato con il rarissimo mutamento genetico sopracitato – che, curiosamente, gli addetti ai lavori chiamano anche Christchurch (letteralmente, “Chiesa di Cristo”), dal nome della località neozelandese in cui era stato originariamente scoperto. Le due copie presenti nel DNA della donna hanno funto da “scudo biologico”, difendendo il cervello dai processi neurodegenerativi tipici della malattia.

Si tratta di processi che portano alla distruzione dei neuroni (le principali cellule encefaliche), e vengono innescati dalla produzione anomala di due tipi di proteine: la β-amiloide, che forma delle placche che vanno a “soffocare” le connessioni tra i neuroni (le “autostrade” che veicolano i messaggi all’interno del cervello), impedendo di fatto qualsiasi forma di comunicazione e conducendo progressivamente alla morte cellulare; e la tau, che invece si accumula dentro i neuroni, formando dei grovigli (gli “ammassi neurofibrillari”) che in sostanza distruggono le cellule dall’interno – come dei kamikaze.

Il gene mutato va ad agire proprio contro questi agglomerati, frenando la malattia anche in presenza di depositi considerevoli di placche amiloidi: il che, en passant, implica che l’impatto maggiore – e peggiore – sulla comparsa dei sintomi e sul decorso della patologia ce l’hanno proprio gli ammassi neurofibrillari.

Peraltro, questo ragguardevole risultato si va ad aggiungere alla commercializzazione, autorizzata in Cina, di un farmaco estratto da un’alga bruna che, agendo su un particolare batterio intestinale, sembra indurre «un miglioramento cognitivo solido e coerente» in pazienti con Alzheimer lieve e moderato. D’altra parte, lo studio statunitense «apre le porte a nuovi trattamenti che, piuttosto che agire sulla causa stessa della malattia, conferiscano resistenza alla demenza» come ha dichiarato Yakeel Quiroz, uno dei principali autori della ricerca.

Fa specie pensare che, in qualche modo, tutto questo fosse stato profetizzato da un genio della musica come Franco Battiato, che già nel 1971 cantava: «Cambieranno le mie cellule / E il mio corpo vita nuova avrà / Le molecole che ho guaste / Colpa dell’ereditarietà».

Il futuro è oggi. E, anche se certamente è ancora presto per cantare vittoria, si può però esultare per il balzo da gigante dell’umanità nella lotta contro quella che è stata definita “la malattia del secolo”.

Mirko Ciminiello è nato a Rimini nel 1985 e vive a Roma, dove si è laureato in Chimica (triennale) e Chimica Organica e Biomolecolare (specialistica) alla Sapienza, in Scienze della Comunicazione (triennale) e Scienze Cognitive della Comunicazione e dell'Azione (magistrale) a Roma Tre. Giornalista, attore per hobby, collabora con l'associazione Pro Vita e Famiglia ed è autore di 9 libri, di cui due in inglese.